sabato 6 settembre 2008
una taglia sulla mazza
Valtere guida il suo popolo attraverso il Mar Rosso
da Corriere.it
«Se il progetto va in crisi, nel centrosinistra diaspora difficilmente conciliabile»
Veltroni: «Dai dirigenti danni al partito».
Il segretario risponde a Parisi: «Bordate per andare sui giornali. Il Pd è ben più avanti dei suoi rappresentanti»
Nel frattempo, mentre Valtere provvede ad aprire le acque del mar Rosso di fronte ai militanti per poi tentare di richiuderle nel momento dell'attraversamento dei dirigenti del pd, sordi agli appelli dei militanti, D'Alema si getta (volontariamente) dal gommone di salvataggio. Il popolo del pd rimane in attesa di un Noè (450 anni) che lo carichi a due a due su qualche velivolo dell'Alitalia.
Lotta di Francesca con Satana: Vangelo apocrifo
Molti anni prima del Diluvio, Francesca usciva dal liceo Stellini di Udine.
Aveva appena fatto il compito di greco e si portava appresso il pesante vocabolario, legato con una cinghia elastica. Dopo aver attraversato Pzza I Maggio, non aveva voglia di fare la solita via Manin e decise di andare su per l’erta stradina del Castello a respirare un po’ d’aria: si sentiva leggera e procedeva con la testa tra le nuvole, a lunghi passi, saltellando.
Ma ecco: da dietro un cespuglio appare L’Esibizionista, con l’impermeabile aperto sull’indecoroso spettacolo dei suoi attributi.
Era da tempo che tutte le ragazze del liceo cercavano di farsi quantomeno una cultura visiva, e quindi davano la caccia all’esibizionista nei vari giardini circostanti e fin nel parco della Rimembranza, ma non sempre la caccia era fruttuosa, inoltre l’esibizionista cominciava ad essere preoccupato.
In questo caso l’effetto sorpresa fu vincente ed egli potè con soddisfazione cogliere una giovane vittima inopinatamente ignara.
Ma la giovane Francesca, immune da tentazioni, usò il pesante vocabolario scagliandolo come un peso, reso elastico dalla cinghia, per ben due volte.
Senza entrare nei dettagli, questo segnò la fine delle gesta dell’esibizionista e lasciò le ragazze del liceo prive di conforti spirituali.
Nessuna di loro ammirò Francesca per il coraggio e l’abnegazione: fu molto criticata. Invece gli organismi superiori (insegnanti, clero, genitori) additarono al pubblico esempio il nobile gesto di Francesca.
I compagni di classe (maschi) vissero un periodo funestato dai peggiori incubi e decisero di sostenere, per sempre e senza discutere, le lotte femministe.
Il ritorno del bon ton
FIDANZAMENTO
venerdì 5 settembre 2008
matrimonio imperfetto:la fortuna non è cieca
il matrimonio perfetto: come fare
giovedì 4 settembre 2008
libero esame in libero Stato
Luci, lucciole e lanterne rosse a Udine
Anche nel sano Friuli si ricercano le motivazioni per cui funzionari di partito si dedicano alla politica, organizzano convention, congressi e altro.
Riporto l’articolo apparso su Rebubblica (3 sett.2008)
“Prima la convention di Forza Italia, poi la cena, poi un piccante dopo-cena:
per un esponente nazionale del partito, garantita la compagnia di prostitute nella camera dell'hotel. Italiane, brasiliane, dell'Est, anche tre in una notte.
Per questo, tre noti professionisti udinesi sono finiti sotto inchiesta indagati per l'ipotesi di favoreggiamento della prostituzione. L'indagine è scattata in seguito a un'intercettazione telefonica alla quale sono seguiti gli accertamenti da parte del sostituto procuratore di Trieste Raffaele Tito. Sono stati così indagati l'imprenditore Riccardo Di Tommaso, proprietario del Bernardi Group con punti vendita d'abbigliamento anche all'estero, uno dei suoi consulenti legali, l'avvocato Massimiliano Basevi, e l'albergatore Franco Marini, titolare dell'hotel Là di Moret, quattro stelle alla periferia nord di Udine. Hanno già chiesto di patteggiare la pena dopo essere stati interrogati e avendo quindi fornito la loro versione dei fatti.
È bufera, a Udine, sui vertici regionali del partito di Silvio Berlusconi.
Secondo la ricostruzione dell'accusa, l'imprenditore Di Tommaso finanziava le prostitute, l'avvocato Basevi le procurava anticipandone il pagamento, anche su siti Internet, l'albergatore consentiva che gli incontri avvenissero nel suo locale. Si contestano almeno cinque notti calde nel periodo compreso fra il novembre 2007 e la fine di marzo di quest'anno, in piena campagna elettorale. Nell'immediatezza dell'election day che ha visto gli elettori di Udine andare alle urne per eleggere il sindaco, il presidente della Provincia, il Governatore della Regione e, come tutti gli italiani, premier e Parlamento. …”
mercoledì 3 settembre 2008
Pubblica Distruzione
martedì 2 settembre 2008
Da Google con simpatia
La notizia è la ciliegina sulla torta della stagione appena conclusa per la squadra di Solo Dance della società rossonera, un meritato premio per il lavoro svolto da Irene (alla sua prima esperienza nella categoria!!!) e da tutto lo staff a partire dall'allenatrice Valentina Mocali e dalla dirigenza che fin dal primo momento ha creduto nel progetto di rilancio del settore dell'artistico affidandosi a tecnici giovani e molto motivati.
Un grande in bocca al lupo quindi ad Irene che alla fine del prossimo mese (precisamente dal 28 settembre fino al 1 ottobre) andrà in Portogallo a difendere i colori azzurri.
http://vids.myspace.com/index.cfm?fuseaction=vids.individual&VideoID=37565573
DENUNCIATI!
adisca pure, tenendo presente che la signorina Florean, il cui palmares non conoscevo, ma nel caso non incide, partecipando al concorso "Miss Topolini" si è volontariamente esposta al pubblico giudizio e conseguentemente non può lamentarsi di essere ripresa in un luogo di libertà come è il blog. Per quanto riguarda i commenti non li ritengo offensivi, altrimenti li avrei tolti io stesso, sulla base della "Netiquette" che trova sul blog stesso, ma solo scherzosi. Infine, per quanto riguarda i nick anonimi anch'essi sono espressione di libertà, sempre nell'ambito della vigente normativa civile e penale.
E che, siamo meno galli dei francesi?
ha lo studio a roma, vicino al parlamento
La fiamma di Frattini ha nome (e volto)
Si chiama Chantal Sciuto, è una dermatologa siciliana di 39 anni: «Di lui mi hanno colpita semplicità e dolcezza»
«UNA STORIA CHE FA SOGNARE» - Prestanti e chic, anzi «giovani, belli e di successo» come li definisce l'agenzia di comunicazione e moda incaricata di diffondere la notizia della loro storia d'amore. «Tra loro - annuncia l'ufficio stampa ingaggiato dalla Sciuto - circa quattro mesi fa è scoccata la scintilla d'amore e tutto fa supporre che sia una di quelle rare love story che si contano sulla punta delle dita e che fanno sognare». «I due - prosegue - si sono conosciuti a Roma a una cena a casa di amici comuni». Poche parole per dire: sono io la fidanzata di Frattini, basta illazioni e ipotesi infondate. Segue intervista a Chantal: le viene chiesto se l'incontro sia stato casuale o combinato. «Per entrambi di certo un caso, ma non escludo lo zampino dei nostri amici comuni - risponde -. Ci siamo ritrovati tête-à-tête, tra tanta gente e non ci siamo più lasciati».
«DONNA DEL SUD» - «Di Frattini - precisa - mi ha colpita la semplicità e la dolcezza di un uomo apparentemente distaccato, un fascino innegabile. È rispettoso e tradizionalista, con dei valori importanti, come la famiglia e l'amicizia, cose che apprezzo e ricerco come donna del sud». «Voleva mettere a tacere le voci - spiegano dallo studio di comunicazione incaricato di diffondere la notizia -. È una bella donna per cui è molto facile che escano cose non vere. Ci teneva a dire lei come stanno le cose». Già nota in ambienti mondani, oltre che sul piccolo schermo, "lady Farnesina" dice di non essere attratta dalla celebrità facile e patinata della cronaca rosa: «L'emozione per questo amore - assicura - va ben oltre una popolarità da copertina». La prima uscita pubblica dei due fidanzati è prevista il 5 settembre ad Avignone per il consiglio dei ministri degli Esteri europei; il giorno dopo a Cernobbio, per il workshop Ambrosetti.
02 settembre 2008
scomodi blog: ecco la motivazione
A distanza di circa due mesi dalla condanna di Carlo Ruta per stampa clandestina, il magistrato del Tribunale di Modica ha rilasciato le motivazioni della sentenza che hanno portato alla sospensione delle attività del blog "Accadde in Sicilia" e all'obbligo di pagare un'ammenda di 150 Euro e di 5.000 Euro di spese giudiziarie da parte del curatore del sito web. La decisione del magistrato dello scorso giugno aveva destato molto scalpore nella blogosfera italiana, suscitando non poche critiche nei confronti della sentenza ritenuta iniqua e costituente un pericoloso precedente.
Secondo il giudice Patricia Di Marco, l'ormai famoso blogger siciliano si sarebbe macchiato del reato di stampa clandestina per aver diffuso materiale informativo e di opinione attraverso una testata non regolarmente registrata presso il tribunale competente, violando la legge sulla stampa del 1948 e la successiva integrazione del 2001. Nelle motivazioni della sentenza, il magistrato si dichiara concorde con un'ampia corrente giuridica secondo cui la legge n. 62 del 2001, «che accomuna in un sistema unitario la carta stampata e i nuovi media, ha valore generale, così da poter affermare l’assoluta equiparabilità di un sito internet ad una pubblicazione a stampa, anche con riferimento ad un eventuale sequestro di materiale "incriminato"».
Stando all'interpretazione giuridica del giudice Patricia Di Marco, dunque, «devono essere inscritte, nell'apposito registro tenuto dai tribunali civili, le testate giornalistiche online che abbiano le stesse caratteristiche e la stessa natura di quelle scritte o radiotelevisive e che, quindi, abbiano una periodicità regolare, un titolo identificativo (testata) e che diffondano presso il pubblico informazioni legate all'attualità. In particolare, le testate telematiche da registrare e perciò sottoposte ai vincoli rappresentati dagli articoli n. 2, 3 e 5 della L. n. 47/1948 sulla stampa sono quelle pubblicate con periodicità (quotidiana, settimanale, bisettimanale, trisettimanale, mensile, bimestrale) e caratterizzate dalla raccolta, dal commento e dall'elaborazione critica di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale, dalla finalità di sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di fatti di cronaca e, comunque, di tematiche socialmente meritevoli di essere rese note».
Nella lunga e circostanziata sentenza da poco diffusa, il giudice fornisce alcune considerazioni di merito sulla comunicazione online, ritenuta: «la forma più efficace e potenzialmente più insidiosa di diffusione di una notizia, dato o informazione, giacché tale “luogo” virtuale può essere visitato non solo da colui che è specificamente e direttamente interessato a conoscere una certa notizia, ma può essere visitato anche da soggetti che, inserendo uno o più termini in un motore di ricerca, vengono indirizzati al sito in oggetto». Elemento che, secondo il magistrato, dimostrerebbe come la diffusione di materiale online sia aperta a tutti, proprio come avviene per la stampa.
Entrando maggiormente nello specifico, Patricia Di Marco sottolinea come il sito web di Carlo Ruta rientrasse pienamente nel paradigma disegnato dalla legge n. 62 del 2001 per due principali motivi: «In primo luogo è lo stesso imputato che, intitolando il proprio prodotto “Accade in Sicilia giornale di informazione civile”, ha definito e qualificato il proprio prodotto come giornale diretto a svolgere attività di informazione e, dunque, come prodotto editoriale. Ad ulteriore conferma che quanto pubblicato dal Ruta sul sito in parola sia un prodotto editoriale proviene dal contenuto degli articoli in esso pubblicati, i quali hanno ad oggetto fatti di cronaca locale, inchieste giudiziarie, testimonianze dirette e fatti storici. [...] In secondo luogo, l’attività istruttoria ha consentito di accertare che il sito internet creato dall’imputato presentava le caratteristiche di un periodico per la sistematicità con cui veniva aggiornato e con cui venivano pubblicati gli articoli».
E proprio sulla periodicità delle informazioni pubblicate da Ruta insiste il magistrato nelle motivazioni della sentenza. La legge del 1948 e le successive integrazioni identificano nella pubblicazione periodica e regolare di un giornale una delle condizioni minime per etichettare un prodotto editoriale come un periodico e dunque passibile di una registrazione presso il tribunale. A titolo esemplificativo, nella sentenza si elencano alcune date di pubblicazione degli interventi di Ruta (una dozzina in circa cinque settimane) che paiono - però - in contraddizione con quanto formulato dal magistrato ed evidenziano una sommaria aperiodicità dell'attività del blogger siciliano (gli articoli citati risalgono alle date 27.11.2004, 25.11.2004, 15.11.2004, 17.11.2004, 10.11.2004, 6.11.2004, 3.11.2004, 1.11.2004, 30.10.2004, 28.10.2004, 14.10.2004, 13.10.2004).
Al termine delle motivazioni della sentenza, il giudice Patricia Di Marco fornisce alcune considerazioni sulle dichiarazioni fornite nel corso del procedimento da Carlo Ruta, che a più riprese aveva definito il proprio sito web come un comune blog, uguale a milioni di altri blog esistenti da anni in Italia. Secondo il giudice, le dichirazioni fornite spontaneamente da Ruta non sarebbero state tali da mutare l'impianto accusatorio: «Al riguardo giova innanzitutto evidenziare che il "blog" è principalmente uno strumento di comunicazione ove chiunque può scrivere ciò che vuole e come tale può anche essere usato per pubblicare un giornale. Infatti un "blog" può anche essere utilizzato come metodo di presentazione di un giornale, cioè di una testata registrata con una sua linea editoriale, per coinvolgere il pubblico. [...] Per pubblicare degli articoli sul sito creato dal Ruta era necessario contattare costui e sottoporre alla sua preventiva valutazione l'articolo che si intendeva pubblicare. Pertanto appare evidente come il sito in questione non fosse un blog, al quale chiunque potesse accedere e partecipare al dibattito, ma era un vero e proprio giornale dotato di una testata e di un editore responsabile. A suggello e conferma di quanto sopra va, del resto, richiamato che lo stesso imputato ha definito la propria pubblicazione come "Giornale di informazione civile"».
Le sentenza emessa, e ora motivata, dal Tribunale di Modica costituisce, a oggi, un unicum a livello giuridico non solo in Italia, ma in tutta l'Unione Europea.
scomodi blog
astinenza sessuale
lunedì 1 settembre 2008
pd: assessore tipo
Confesso: ho preso troppo sole
CAPITA NELLE MIGLIORI FAMIGLIE
Paola (27/08/2008 - 04:55)
Ciao ragazzi, come va?
Io bene, anche se ho avuto tempi migliori...
Ho appena saputo che domani su "CHI" usciranno delle foto dove Raz si bacia con la Smunietk( ma come si scrive?)...
Me lo aspettavo, prima o poi, perchè sapevo che sarebbe stato inevitabile.
Passo indietro: fine maggio 2008.. Io e Raz di comune accordo decidiamo di lasciarci, nonostante il grande legame, ma quando un rapporto che ti ha spostato i limiti arriva al suo inevitabile capolinea, è giusto che non venga logorato da falsi sentimenti.
Ho evitato di parlarne, perchè una separazione, se pure condivisa, è pur sempre un dolore. Voi che mi conoscete sapete quanto io tenga a proteggere la mia vita privata soprattutto nei momenti di difficoltà. Un tempo lo chiamavano pudore... Per voi la notizia è fresca, per me no...capita anche nelle migliori famiglie.
Il futuro? tutto da inventare.. e questo mi piace..
Non pensatemi triste, io e Raz siamo comunque vicini, ma in un modo diverso. Nulla si cistrugge, tutto si trasforma...
A presto.
Baci
P:
CACCIA GROSSA IN ALASKA 2008
E' ora di finirla con la Costa Smeralda, la Sicilia, Giannutri, Milano Marittima, etc.
E' ora di tornare alle vacanze intelligenti. Vediamo cosa propone http://www.safariinternational.com
"Organizziamo la caccia in Alaska all'orso grizzly e orso nero, alla pecora e capra bianca, e a caribù in varie parti di Alaska. Per la caccia agli orsi neri in primavera, grizzly e capra bianca usiamo la nave nel Prince William Sound mentre la pecora bianca e caribù si cacciano a Brooks Range a piedi. La sistemazione è sulla nave oppure nelle tende con sacco a pelo.
PERIODO: Orso nero da maggio e giugno altre specie agosto, settembre."
Se Gustav permette, non è escluso un incontro ravvicinato con la governatrice e prossima vicepresidente Sarah Palin e con il marito esquimese. Non è però previsto lo strofinamento dei nasi (bacio esquimese) nè altre forme di ospitalità tipiche di quella cultura.
Ma come si fa a non votare una donna così? A parte che le donne vanno sempre votate. E su questo non ci piove. Solo quello scemo di Gustav (l'uragano) non lo ha capito.
Controtendenza: single di tutto il mondo, arrendetevi.
E’ nella mission di Academia informare su ogni aspetto del dibattito in corso, quindi, senza paura di contraddirmi, pubblico volentieri
Sposarsi allunga la vita e a dirlo è la scienza: restare uniti nella gioia e nel dolore può regalare 5 compleanni in più, e addirittura 10 agli uomini. Per la donna il vantaggio è meno chiaro. A passare in rassegna l'ampia letteratura che documenta i benefici psico-fisici delle nozze, a patto che siano ben riuscite, è un articolo pubblicato sul quotidiano britannico 'Daily Mail'. Ecco nel dettaglio le ragioni .
MORTALITA'. Numerosi studi hanno dimostrato che le persone sposate vivono più a lungo: il vantaggio va da uno a 5 anni di vita guadagnati, e anche di più considerando solo il partner maschile. Una ricerca della Chicago University, per esempio, ha calcolato che gli uomini sposati vivono in media 10 anni in più rispetto agli scapoli, e le donne-mogli circa 4 anni in più delle nubili. Una possibile spiegazione è che, accasandosi, lui adotta stili di vita più sani e lei sta meglio economicamente. Ma per dovere di cronaca, a rovinare l'idillio c'è uno studio svizzero. Gli autori elvetici hanno stimato che il matrimonio regala in media 1,7 anni in più ai maschi, 'tagliando' di 1,4 anni la vita di lei. Forse per lo stress di dover convivere con un uomo, si ipotizza.
TUMORI. Gli uomini malati di cancro alla prostata sopravvivono più a lungo se sono sposati. Almeno secondo studio condotto dall'Università di Miami su 146.979 pazienti. La sopravvivenza media per i maschi che condividono il peso del cancro con la moglie è di 69 mesi, contro i 38 mesi degli uomini separati o vedovi, hanno stimato gli scienziati 'depurando' il loro calcolo da fattori quali la differenza d'età, lo stadio del tumore e il tipo di terapia seguita. Due le possibili spiegazioni: da un lato le gioie della vita a due aiutano il malato a tenere duro, mentre la seconda teoria chiama in causa i benefici di un'attività sessuale più frequente e regolare, definita da molti un fattore protettivo contro il carcinoma della prostata.
ALZHEIMER. Uomini e donne sposati hanno un rischio del 50% inferiore di sviluppare demenza, secondo i risultati di uno studio durato 21 anni e condotto dal Karolinska Institutet svedese 'correggendo' i dati ottenuti da fattori quali età, sesso, grado di istruzione, tipo di professione ed eventuale obesità. Chi ha trascorso un'intera vita da single ha una probabilità doppia di sviluppare demenza, che diventa tripla per i divorziati che non si sono rifatti una vita. E ancora: le persone rimaste vedove intorno alla mezza età hanno un rischio di demenza 6 volte maggiore di quelle che dopo il lutto si sono risposate. Perché? Da una parte avere qualcuno che si preoccupa per la propria salute invoglia a badare a se stessi, dall'altra vedovi e divorziati devono fare i conti con lo stress legato a una perdita e diventano più 'fragili'.
INFLUENZA. Nelle persone sposate il vaccino contro il 'mal d'inverno' funziona meglio. Risulta da uno studio condotto dall'Università di Birmingham su 184 persone, secondo cui gli uomini e le donne che si sono giurati amore eterno mostrano una risposta anticorpale più sostenuta dopo la vaccinazione anti-influenza. Ma tutto dipende dalla felicità delle nozze: se la passione dura, il sistema immunitario è rafforzato.
PICCOLE FERITE. Ed è sempre merito dell'effetto-felicità sulle difese immunitarie se, tra gli sposati, le piccole ferite cicatrizzano più facilmente. Uno studio dell'Ohio State University College of Medicine, condotto su mogli e mariti dai 22 ai 77 anni d'età, ha infatti evidenziato che nelle persone che vivono un matrimonio infelice il processo di guarigione è del 40% più lento. DEPRESSIONE. Uomini e donne divorziati, vedovi o che non si sono mai sposati sono più inclini alla depressione, emerge da uno studio su 2 mila gemelli firmato dall'Università della Danimarca del Sud. E vanno nella stessa direzione i risultati ottenuti da un team dell'Ohio University, secondo cui i depressi che si risposano stanno meglio di quelli che restano single. La vita a due regala stabilità e contrasta la solitudine, tra i primi 'imputati' del mal di vivere. Infine, secondo un'indagine italiana gli sposati sono meno a rischio suicidio: la voglia di farla finita è massima tra gli uomini e le donne under 64 separati o divorziati.
PRESSIONE ARTERIOSA. Parola di scienziati, il manometro della pressione va di pari passo con il termometro della passione. Gli uomini e le donne sposati hanno valori pressori inferiori se il loro rapporto è sereno, afferma uno studio della George Washington University. Al contrario, gli accoppiati infelici mostrano una pressione più alta rispetto ai single: la tensione del disaccordo, si sa, fa 'ribollire' il sangue.
MALATTIE CARDIACHE. Il matrimonio protegge il cuore e aumenta le chance di sopravvivenza dei cardiopatici. Lo mettono nero su bianco vari ricercatori, osservando che i livelli di stress sono più bassi tra le persone sposate che fra i single. E infilare un anello al dito della partner fa ancora meglio agli uomini, che dopo il 'sì' tendono a stili di vita più sani. Almeno secondo uno studio dell'Università di Newcastle, secondo cui i maschi single corrono un pericolo maggiore di attacchi cardiaci, e un altro dell'Università del Maryland, che prevede per gli uomini non sposati un rischio maggiore di problemi cardiaci nei 10 anni successivi. Chiude il cerchio un'equipe dell'Università di Pittsburgh: gli uomini sposati e felici hanno arterie più 'pulite'. Otto inviti a metter su famiglia, dunque, più un avvertimento a pensarci un po' su: il Department of Health and Human Services americano assicura che sposarsi allarga il girovita e regala
domenica 31 agosto 2008
E' nata una stella della satira
Eclissi dei vespasiani, abuso di birra e menefreghismo: così dilaga la moda maleducata della pipì per strada
Mal comune, mezzo gaudio. Anche il malumore, se condiviso, perde l’acida malinconia della solitudine e dell’idiosincrasia individuale, si alleggerisce, non ha più la bocca storta del suscettibile condomino disturbato dal chiasso dei bambini del vicino, ma è piuttosto l’allegro e sboccato brontolare di una camerata di soldati consegnati in caserma. Così il malumore diventa quasi buonumore, come nelle scolaresche punite di un tempo, quando a scuola esistevano le punizioni e non ancora i Consigli dei genitori. Condivido dunque con animo sereno il malumore dei miei concittadini, dei cittadini di Trieste, per l’abitudine—evidentemente sempre più diffusa nella mia città — di fare la pipì in strada, per la moda che induce — come denuncia l’assessore comunale ai Lavori pubblici, Franco Bandelli— «i giovanotti maleducati di buona famiglia ad andarla a fare sui muri, sui portoni e sulle vetture parcheggiate».
Ciò è conseguenza non tanto della progressiva scomparsa dei vecchi e gloriosi vespasiani, travolti dalle ristrutturazioni e dai lavori pubblici quanto del crescente consumo di birre, di una minore sensibilità morale nei confronti della minzione all’aperto (non più sentita quale trasgressione, al pari di altre abitudini un tempo socialmente riprovate e ora socialmente accettate) e del numero insufficiente di forze dell’ordine (specie polizia municipale) preposte alla repressione del reato ovvero a infliggere le multe recentemente stabilite dal Comune di Trieste per chi piscia sulla pubblica via. A dire il vero, non mi ero accorto di questo dilagare del fenomeno e non mi capita di vederne tante tracce per le strade, ma si tratta evidentemente di una mia distrazione o forse del colpevole egoismo del letterato, insensibile ai bisogni—in senso letterale e traslato—della comunità. Delle tre cause principali del deplorevole costume, il declino del vespasiano è forse la più importante.
Il problema, tuttavia, non è solo triestino, anche se Trieste, città importante e mitteleuropea ma pur sempre di provincia, si trova ad affrontare in ritardo un’emergenza che aveva colpito Milano già nel 1981, emergenza descritta con esilarante umorismo e sbrigliata fantasia linguistica da Alberto Cavallari in quel magistrale caleidoscopio che è il suo Vicino&Lontano. Scomparso o sempre più raro «il vecchio tempietto verde» — peraltro deprecabilmente maschilista, perché offriva «ristoro unicamente all’uomo in piedi» — le autorità milanesi dell’epoca, assediate come un castello medioevale dal fossato sempre più pieno d’acqua e all’affannosa ricerca di rimedi, pensarono a un certo momento di acquistare i nuovissimi cessi elettronici installati a Parigi da Chirac allora sindaco della Ville Lumière; forse — insinuava Cavallari — perché ossessionati dall’invidia per l’ammirata modernità o postmodernità del Beaubourg. Il desiderio di innovazione tecnologica era ed è tuttavia vivo pure a Trieste; infatti già anni fa l’assessore comunale Paolo Rovis aveva proposto di installare alcuni apparecchi «Urilift, l’orinatoio cilindrico a scomparsa».
Non è però forse un caso che Milano abbia lasciato perdere l’idea parigina, forse per il timore che l’automatismo del vespasiano francese, il quale scatenava un mulinello purificatore di acqua e detersivi, in caso di guasto potesse scattare troppo presto e investire l’utente. Se tali guasti fossero stati frequenti, avrebbero provocato proteste e turbato la pace sociale. Il secondo fattore, la birra, ha una pesante incidenza; non solo per un processo meramente fisiologico, comune a ogni liquido, ma per un rapporto in questo caso privilegiato tra l’immissione e l’emissione del liquido, attestato da quel gentiluomo inglese il quale si chiedeva pensoso se era più intenso il piacere di bere la birra o di espellerla poco dopo. Ma sul consumo di birra, a parte i minorenni, nulla può l’autorità in un Paese liberale, oltretutto sempre più permeato di ideologie radicali avverse ad ogni proibizionismo. Resta, fondamentale, l’intervento delle forze dell’ordine, della legge, che, come è noto, non può impedire materialmente i reati, ma può scoraggiarli con la loro sanzione.
Ma è qui che scatta l’allarme, perché l’organico della polizia municipale è scarso, è già difficile pattugliare le strade, i sindacati sono contrari a estendere le mansioni e a «prolungare l’orario di lavoro dei vigili per ronde anti-pipì», non ci sono fondi per straordinari, dopo le due di notte i vigili urbani non lavorano più e quel compito spetterebbe dunque alle volanti e ai carabinieri, i quali possono avere buoni motivi per ritenere di essere destinati a evitare altri e peggiori guai. In ogni caso il sindaco Alemanno, alle prese con stupri e violenze d’ogni genere nella sua Babele, invidierà il collega triestino e anche noi triestini—continenti, incontinenti o multati — potremo rallegrarci di avere più probabilità, la notte, di imbatterci in uno screanzato mingente che in uno stupratore. Trieste tuttavia ha un problema in più rispetto a Milano: il mare, luogo per eccellenza in cui orinare è tacitamente accettato ma non perciò meno disdicevole, quale profanazione di quel paesaggio ed elemento del mondo che più d’ogni altro evoca l’infinito, l’eros, il divino.
Secondo un’antica tradizione portoghese pisciare in mare è peccato, sia pure veniale. Ma come individuare i trasgressori? Nella Londra del Settecento era proibito fare la pipì nel Tamigi, ma sorveglianti appostati sulle sue sponde potevano facilmente cogliere i colpevoli sul fatto, come tutori della legge incuranti degli spruzzi d’ogni genere, avrebbero potuto farlo all’epoca del mio liceo, quando il mare invernale infuriato dalla bora copriva il molo Audace e gelava ed era un rito virile andare in cima al molo sfidando il ghiaccio scivoloso, rischiando di finire fra le onde, e orinare in mare senza preoccuparsi della direzione del vento. Ma quando la si fa in mare, stando sott’acqua? Impiegare subacquei, sommozzatori, palombari? Le volonterose ronde leghiste sarebbero sicuramente disposte a supplire alla mancanza di vigili urbani nelle «ronde anti-pipì», ma la loro provenienza generalmente terragnola le rende inadatte a operazioni sottomarine. Certo, dover rassegnarsi all’ineluttabile mette un po’ di malumore...
Claudio Magris31 agosto 2008
Storie vere / Ondina Peteani
A un’anziana degente vengono liberati gli arti, da tempo costretti in una contenzione forzosa. L’occasione è una visita neurologica, durante la quale le viene chiesto di scrivere ad occhi chiusi una frase, la prima cosa che le viene in mente. È un’immagine dura: un vecchio corpo martoriato dalla malattia, una personalità prostrata dalla depressione, con evidenti problemi respiratori, quaranta chili appena per un’altezza di un metro e settanta: sembra – e in effetti è – reduce da un lager, ma non siamo nella primavera del ’45, bensì negli ultimi mesi del 2002 e l’anziana morirà dopo poco, il 3 gennaio 2003. Dal campo di sterminio era riuscita ad andarsene quasi cinquantasette anni prima, alla Liberazione, ma qualcosa che aveva portato con sé da quella terrificante esperienza era tornato, per portarsela via.
La prima cosa che le venne in mente di scrivere, in quella visita medica, furono anche le ultime parole che scrisse: “È bello vivere liberi”. Alla luce di quanto oggi sappiamo di quell’anziana inferma, un autentico, telegrafico testamento spirituale.
Quelle quattro parole scarabocchiate ad occhi chiusi su un foglio sono ora il titolo del libro di Anna Di Gianantonio (edito dall’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, pp. 174, € 15) che ricostruisce la vita di Ondina Peteani, con ampie digressioni che danno conto dell’ambiente sociale e del contesto storico nel quale la donna – prima staffetta partigiana d’Italia – si mosse e fattivamente operò.
Anche se nata a Trieste il 26 aprile 1925, in quello stesso ospedale nel quale sarebbe morta settantasette anni più tardi, la sua infanzia e l’adolescenza trascorsero nell’Isontino, a Vermegliano, presso Ronchi, dove la famiglia viveva in un contesto sociale caratterizzato da un lato dalla presenza di una forte minoranza slovena, negli anni del fascismo fortemente conculcata nei suoi diritti fondamentali e, dall’altro lato, da una diffusa cultura operaia, per la vicinanza dei cantieri di Monfalcone, e soprattutto femminile per la presenza del cotonificio di Ronchi.
“Irregolare” fin dalla nascita (era figlia di un ufficiale austroungarico e non di Toni, il marito della madre), Ondina visse gli anni della sua formazione in un ambiente familiare anticonformista e fondato sugli affetti più che sulle convenzioni, a sua volta inserito in un contesto sociale connotato da una sorda opposizione al regime allora imperante.
Appena le condizioni lo permisero, fu una scelta naturale per Ondina prendere giovanissima la via della lotta partigiana, schierandosi per scelta naturale con coloro che scelsero di opporsi in armi al nazifascismo, nell’importante ruolo di collegamento tra le diverse formazioni di partigiani sloveni e italiani che agivano sul territorio giuliano.
Arrestata nel luglio del ‘43, fu detenuta assieme alla madre e alla sorella fino al settembre e, uscita dal carcere, riprese la lotta nella Resistenza. Fra le tensioni e le paure della lotta clandestina, si consumò anche un dramma familiare, quando la sorella venne accusata di essere spia dei fascisti e fu per questo giustiziata dai partigiani.
Ondina continuò tenacemente a lottare, finché, nel febbraio del ’44, fu nuovamente tratta in arresto e detenuta nelle carceri triestine del Coroneo fino a maggio, quando fu deportata ad Auschwitz.
L’esperienza indicibilmente atroce che maturò durante la detenzione in vari campi, seguendo l’esercito tedesco in rotta in quell’ultimo anno di guerra, segnò come uno spartiacque la sua vita in due parti, anche se Ondina non amava parlare della sua deportazione.
Fin qui, l’intensa biografia di una giovane eroina della Resistenza. Ma la vita di Ondina continuò per molti decenni, esercitandosi in un diverso quotidiano eroismo, continuando sin quasi alla fine dei suoi giorni a battersi non soltanto con la militanza nel PCI, ma con la concretezza dei suoi comportamenti, per gli ideali di solidarietà che avevano ispirato la sua scelta di partigiana.
Ebbe difatti la sorte di continuare la sua vita come l’aveva iniziata: un matrimonio che finì presto, il legame con un altro uomo, agente della Editori Riuniti, l’adozione del figlio Gianni quando il bambino aveva pochi mesi, per sconfiggere anche la sterilità che era un altro retaggio del lager. E ancora, la sua scelta di fare l’ostetrica, la creazione di reti di mutua assistenza, soprattutto tra donne, il suo impegno come educatrice nei campi estivi per i Pionieri organizzati dal Partito. Parallelamente alla sua, il libro della Di Giannantonio narra la storia tormentata del PCI di quegli anni, soprattutto a Trieste, diviso tra la scelta titoista e quella di Togliatti, un partito spesso rigidamente dogmatico che ad esempio non vedeva di buon occhio le scelte personali dei militanti che vivevano la loro vita affettiva all’interno di coppie di fatto. A questo partito Ondina rimarrà fedele fino alla costituzione, nel ’91 del PDS, cui aderirà anche lei.
Come si è detto, nell’ultima fase della sua esperienza Ondina subì i devastanti effetti di una depressione, quasi che l’orrore del campo di sterminio fosse tornato per riprendersela e concludere così l’opera criminale di oltre mezzo secolo prima.
Le ultime parole che di lei ci rimangono, quel messaggio di incredibile semplicità, danno da sole la misura di cosa questa donna è stata nella storia che ha attraversato col suo coraggio, il suo anticonformismo e la sua alacrità. È bello vivere liberi.
Condivido con gli amici del pluriblog "E' bello vivere liberi", in pubblicazione a firma di Walter Chiereghin sul numero di settembre del mensile Konrad di Trieste, ricevuto da Gianni, figlio di Ondina e caro amico.