sabato 9 agosto 2008
Kalinka
Kalinka, una giovane extracomunitaria, si piazza in piazza S. Antonio e per dodici ore di seguito canta Kalinka.
Un anziano del rione sta pensando di chiamare l'esercito (italiano)
Rara Avi, la ragazza stuprata
Sono Rara Avi, nata da Piero Avi e Ale Marozzi, di Montenapoleone, Murgie, entrambi minorenni quando mi ebbero, essendo Piero di anni 12 e Ale di anni 17 e 11 mesi. Mio nonno il barone Avi di Montuzza si oppose con la forza dei suoi latifondi alle nozze riparatrici, sicchè papà dovette emigrare in Costarica e mamma richiudersi in convento. Sin da piccina feci la sigaraia da Zì Pasquale per guadagnarmi la vita, ma essendo bravissima alle scuole inferiori arrivai senza stress alla maturità. Non potendo frequentare la scuola pubblica andavo da fra’ Baldino, insegnante a tutto campo che mi preparava privatamente. Giunsi quindi all’esame finale vergine nel corpo ma matura nella mente. Il giorno prima dell’esame mi recai da frà Baldino per l’ultimo ripasso ed alla fine egli mi invitò a mettermi carponi per una preghiera intensa di ringraziamento e buonaugurio. Mi misi quindi nella posizione indicatami dal pio uomo, completamente dimentica di non aver indossato quella mattina gli unici mutandoni in mio possesso, in quanto li avevo messi a lavare. Mentre ero immersa nella prece sento come un fruscio alle mie spalle, sento la mia gonna sollevata e un passaggio veloce di cosa moscia e umida sulle mie pudenda. Durò una frazione di secondo, nulla sentii ed ancor oggi non so se in quella occasione persi o no la mia innocenza. In una parola il sant’uomo aveva goduto in un tempo quasi non misurabile. Poi il frate si scusò piangendo per la sua malefatta e figuraccia e volle farsi perdonare con oltre due ore di slinguazzate pretesche. Questo, devo dire, non mi dispiacque.
il pensionato
venerdì 8 agosto 2008
i gatti più belli del mondo si sfidano a New York/1
Al Madison Square Garden si è tenuta la competizione annuale che premia il felino domestico con il titolo di Miglior champion della razza
Ritengo che i bei racconti di Giuseppe e di Francesca meritino un premio: queste immagini che allieteranno le loro giornate agostane. E spero piacciano anche ad Essa e a tutti voi.
RACCONTO BREVE: La passeggiata di Andrea
Chiedete e vi sarà dato (a piene mani)
Una mattina d’inverno, svegliatosi da sonni inquieti, Gregorio Samsa -il cui cognome denota un’inequivocabile origine istriana- si trovò trasformato in uno psichiatra democratico. Da decenni Gregorio Samsa diventava altro che non fosse l’impiegato originario di Montona, sposato a una conterranea, due figli. Aveva conosciuto metamorfosi di vario tipo, da capitano di lungocorso, a sindaco di Genova, a segretario provinciale di partito, ma si trattava sempre di figure degne del massimo rispetto. Persone moralmente irreprensibili, con la testa sulle spalle, ammirate da tutti, in primis da sua moglie. Come confessare alla solida consorte d’essere diventato uno di quegli strizzacervelli che lasciano i pazzi liberi di girare per la città? ‘Svegliati o farai tardi in ufficio’ urlò la signora Samsa ‘Quale ufficio?’ le rispose lui ‘Non ci sono più uffici, sono prigioni che impediscono all’uomo d’esprimersi liberamente’. La donna capì al volo e si catapultò in camera in preda al panico ‘Sei matto?’ ‘I matti non ci sono, non esiste la malattia, la libertà è l’unica terapia’ stigmatizzò soddisfatto.
Nei primi mesi di vita da psichiatra democratico Gregorio Samsa imparò un sacco di cose riassumibili nel motto secondo il quale ‘non sta scritto da nessuna parte che la vita debba per forza essere dolore’. E se ciò valeva per la sua, tanto più doveva aver senso per quella degli altri. Quindi, non potendo più aprire i cancelli di San Giovanni, decise di spalancare le porte di altri ghetti di Trieste.
Cominciò da una riunione dell’‘Associazione impiegati istrodalmati’. ‘Duecentocinquantamila persone...’ esordì il presidente, subito interrotto da un ‘Trecentomila...’ cui seguì ‘Trecentocinquantamila...’ ‘Trecentocinquantamila e uno, trecentocinquantamila e due....chi offre di più?’ ‘Cinque miliardi’ urlò Gregorio. ‘Aggiudicato al signor Samsa per cinque miliardi!’ battè, euforico, il presidente. ‘Cinque miliardi di persone al mondo si sentono lontane. Da dove? Domanda oziosa. Siamo circa cinque miliardi di senza Io che vagano alla ricerca della libertà di esprimersi, evitando gesti o emozioni prescritte dalla nascita. Insomma, ripristiniamo la possibilità di vivere...’ ‘...nella casa di mia nonna a Isola’ concluse uno dei partecipanti. Gregorio Samsa non si fece cogliere in contropiede. ‘Anche’. Gestì mirabilmente il dibattito e convinse gli astanti a costruire una miniatura dell’Arena di Pola con gli stuzzicadenti, opera liberatoria e creativa in virtù di un progetto basato sulla memoria dei singoli.
Passò quindi alla comunità slovena, dove, dopo un’iniziale diffidenza, venne accolto con entusiasmo dalla parte comunista militante perchè democratico, e da quella ‘bianca’ perchè istriano (e quindi cattolico). ‘Zakaj, perchè?’ esordì ‘Perchè non essere liberi di parlare la lingua dei padri?’. Non la conosceva, ma superò ogni barriera orale, dando fondo a litri di terrano e a tre teglie di cevapcici. Ballò col gruppo folkloristico ‘Sveti Stepan’ e intonò col coro partigiano prima e con quello ‘Nema problema’ poi (una nuova formazione, sponsorizzata dalla Banca Padovana di Rovigo, Matera, Caltanissetta- Cassa di Risparmio di Poggibonsi- Ttbk) sia ‘Zivjo Tito’ che ‘Slovenja moja’. Sul finale salutò tutti facendosi il segno della croce con tre dita. Fu un trionfo.
Rincuorato dal successo, raggiunse il comprensorio di San Giovanni, l’unico luogo di Trieste che nessuno -manicomio o non manicomio- aspira a raggiungere, eccetto i Carabinieri. La sua carriera era al culmine. Animò dibattiti sul tema ‘Santo Domingo: cooperazione malata o malattie della cooperazione?’ o ‘Dalla Bibbia a Basaglia: storia della follia’. Imparò a tessere, disegnare coi colori a dita, navigare in Internet. Assistette a spettacoli teatrali di alto livello quale ‘L’urlo del Carso’ (un’ora e quarantacinque minuti di grida bilingui), ‘Tossico io, tossica tu, tossiamo assieme’ e l’indimenticabile ‘Come il Marco Cavallo sui macheroni’. Pubblicò alcuni volumi, si giocò a poker i risparmi accumulati nella precedente vita da istriano e venne intervistato 896 volte, di cui 895 da giornalisti de Il manifesto.
Poi osò volare là dove nemmeno le aquile volano. Si presentò alle donne, con l’aria di un umile maschio che si accinge a perseguire, implorante, la possibilità di visitare gli abissi della differenza, nel totale e incondizionato rispetto della specialità delle interlocutrici. Fragilmente disponibile, aveva preparato un discorso impeccabile, in cui articolare al femminile tutte le preposizioni della lingua italiana. Il testo prevedeva infatti un intervento delle donne per le donne e con le donne, rivolto alle donne dalle donne perchè chi, tra e fra le donne si muove, non osasse fare violenza sulle donne e nelle donne. Purtroppo aveva esagerato, esordendo con ‘Una ringraziamenta alla direttora della centra, alle assistente e a tutte quelle donne che si bàttona...’ ‘Scusa?’ interruppe brusca una moretta dagli occhiali fiammeggianti. Preso in contropiede ripetè l’ultima parola del suo discorso, sbagliando clamorosamente l’accento. Quell’accento sulla ‘o’ segnò la sua fine. Venne accerchiato e processato seduta stante. Ammise tutto. Confessò che già dai tempi in cui era impiegato, poi capitano di lungocorso, sindaco di Genova e segretario di partito l’operato non era suo ma del cazzo. Nel pronunciare la parola arrossì violentemente e balbettò ‘E’ ve...vero...pe...per me le do...’ Fu nervosamente interrotto dall’inquisitrice ‘Per te le donne sono solo culo e tette’. Annuì. Sottoscrisse una carta in cui ammetteva d’aver bloccato -per motivi di sesso- la carriera di dodici impiegate, di aver sbarcato a Istanbul una curda, di aver commissionato la costruzione dell’Acquario di Genova a Renzo Piano perchè non era donna come Gae Aulenti, di aver affidato il settore ‘puericultura’ a una compagna di partito, ignorando le sue aspirazioni a ‘economia e affari istituzionali’. Venne rilasciato, sei ore più tardi, solo dopo aver registrato (con tanto di Repubblica alle spalle) un filmato in cui ammetteva d’aver scelto di fare lo psichiatra democratico perchè si rimorchia di più. Fu ritrovato il giorno successivo nel portabagli di una R4 rossa, abbandonata sotto la statua di Marco Cavallo a San Giovanni. Tornò a casa a piedi, dopo uno straziante addio a colleghi e pazienti. Un tossico gli regalò la sua dose di metadone, una schizofrenica la bambola, un operatore un saggio con dedica e un collega psichiatra democratico gli affidò di nascosto un biglietto da consegnare alla famiglia con su scritto ‘Io sto bene, non preoccupatevi. Abbiate cura di voi’.
Una mattina d’inverno, svegliatosi da sonni inquieti, Gregorio Samsa preferì trasformarsi in un enorme insetto immondo...Kafkianamente.
Nei primi mesi di vita da psichiatra democratico Gregorio Samsa imparò un sacco di cose riassumibili nel motto secondo il quale ‘non sta scritto da nessuna parte che la vita debba per forza essere dolore’. E se ciò valeva per la sua, tanto più doveva aver senso per quella degli altri. Quindi, non potendo più aprire i cancelli di San Giovanni, decise di spalancare le porte di altri ghetti di Trieste.
Cominciò da una riunione dell’‘Associazione impiegati istrodalmati’. ‘Duecentocinquantamila persone...’ esordì il presidente, subito interrotto da un ‘Trecentomila...’ cui seguì ‘Trecentocinquantamila...’ ‘Trecentocinquantamila e uno, trecentocinquantamila e due....chi offre di più?’ ‘Cinque miliardi’ urlò Gregorio. ‘Aggiudicato al signor Samsa per cinque miliardi!’ battè, euforico, il presidente. ‘Cinque miliardi di persone al mondo si sentono lontane. Da dove? Domanda oziosa. Siamo circa cinque miliardi di senza Io che vagano alla ricerca della libertà di esprimersi, evitando gesti o emozioni prescritte dalla nascita. Insomma, ripristiniamo la possibilità di vivere...’ ‘...nella casa di mia nonna a Isola’ concluse uno dei partecipanti. Gregorio Samsa non si fece cogliere in contropiede. ‘Anche’. Gestì mirabilmente il dibattito e convinse gli astanti a costruire una miniatura dell’Arena di Pola con gli stuzzicadenti, opera liberatoria e creativa in virtù di un progetto basato sulla memoria dei singoli.
Passò quindi alla comunità slovena, dove, dopo un’iniziale diffidenza, venne accolto con entusiasmo dalla parte comunista militante perchè democratico, e da quella ‘bianca’ perchè istriano (e quindi cattolico). ‘Zakaj, perchè?’ esordì ‘Perchè non essere liberi di parlare la lingua dei padri?’. Non la conosceva, ma superò ogni barriera orale, dando fondo a litri di terrano e a tre teglie di cevapcici. Ballò col gruppo folkloristico ‘Sveti Stepan’ e intonò col coro partigiano prima e con quello ‘Nema problema’ poi (una nuova formazione, sponsorizzata dalla Banca Padovana di Rovigo, Matera, Caltanissetta- Cassa di Risparmio di Poggibonsi- Ttbk) sia ‘Zivjo Tito’ che ‘Slovenja moja’. Sul finale salutò tutti facendosi il segno della croce con tre dita. Fu un trionfo.
Rincuorato dal successo, raggiunse il comprensorio di San Giovanni, l’unico luogo di Trieste che nessuno -manicomio o non manicomio- aspira a raggiungere, eccetto i Carabinieri. La sua carriera era al culmine. Animò dibattiti sul tema ‘Santo Domingo: cooperazione malata o malattie della cooperazione?’ o ‘Dalla Bibbia a Basaglia: storia della follia’. Imparò a tessere, disegnare coi colori a dita, navigare in Internet. Assistette a spettacoli teatrali di alto livello quale ‘L’urlo del Carso’ (un’ora e quarantacinque minuti di grida bilingui), ‘Tossico io, tossica tu, tossiamo assieme’ e l’indimenticabile ‘Come il Marco Cavallo sui macheroni’. Pubblicò alcuni volumi, si giocò a poker i risparmi accumulati nella precedente vita da istriano e venne intervistato 896 volte, di cui 895 da giornalisti de Il manifesto.
Poi osò volare là dove nemmeno le aquile volano. Si presentò alle donne, con l’aria di un umile maschio che si accinge a perseguire, implorante, la possibilità di visitare gli abissi della differenza, nel totale e incondizionato rispetto della specialità delle interlocutrici. Fragilmente disponibile, aveva preparato un discorso impeccabile, in cui articolare al femminile tutte le preposizioni della lingua italiana. Il testo prevedeva infatti un intervento delle donne per le donne e con le donne, rivolto alle donne dalle donne perchè chi, tra e fra le donne si muove, non osasse fare violenza sulle donne e nelle donne. Purtroppo aveva esagerato, esordendo con ‘Una ringraziamenta alla direttora della centra, alle assistente e a tutte quelle donne che si bàttona...’ ‘Scusa?’ interruppe brusca una moretta dagli occhiali fiammeggianti. Preso in contropiede ripetè l’ultima parola del suo discorso, sbagliando clamorosamente l’accento. Quell’accento sulla ‘o’ segnò la sua fine. Venne accerchiato e processato seduta stante. Ammise tutto. Confessò che già dai tempi in cui era impiegato, poi capitano di lungocorso, sindaco di Genova e segretario di partito l’operato non era suo ma del cazzo. Nel pronunciare la parola arrossì violentemente e balbettò ‘E’ ve...vero...pe...per me le do...’ Fu nervosamente interrotto dall’inquisitrice ‘Per te le donne sono solo culo e tette’. Annuì. Sottoscrisse una carta in cui ammetteva d’aver bloccato -per motivi di sesso- la carriera di dodici impiegate, di aver sbarcato a Istanbul una curda, di aver commissionato la costruzione dell’Acquario di Genova a Renzo Piano perchè non era donna come Gae Aulenti, di aver affidato il settore ‘puericultura’ a una compagna di partito, ignorando le sue aspirazioni a ‘economia e affari istituzionali’. Venne rilasciato, sei ore più tardi, solo dopo aver registrato (con tanto di Repubblica alle spalle) un filmato in cui ammetteva d’aver scelto di fare lo psichiatra democratico perchè si rimorchia di più. Fu ritrovato il giorno successivo nel portabagli di una R4 rossa, abbandonata sotto la statua di Marco Cavallo a San Giovanni. Tornò a casa a piedi, dopo uno straziante addio a colleghi e pazienti. Un tossico gli regalò la sua dose di metadone, una schizofrenica la bambola, un operatore un saggio con dedica e un collega psichiatra democratico gli affidò di nascosto un biglietto da consegnare alla famiglia con su scritto ‘Io sto bene, non preoccupatevi. Abbiate cura di voi’.
Una mattina d’inverno, svegliatosi da sonni inquieti, Gregorio Samsa preferì trasformarsi in un enorme insetto immondo...Kafkianamente.
giovedì 7 agosto 2008
FFF, con rinnovato spirito olimpico
Carissimo Diario,
Tratto dalle note di commento a FFF (festa, farina e forca), brano contenuto nell'album degli Area "1978, gli dei se ne vanno gli arrabbiati restano".
P.S. Non ho trovato il brano su you tube, tirate fuori i vecchi dischi o compretevelo.
Festa, farina e forca sono le cinghie di trasmissione della "macchina spettacolo". Forme egemonoche di ogni dominazione che si pretende democratica e insieme suo rovesciamento. La festa è uno strumento della politica, come la farina e la forca lo sono della persuasione. Insieme, dividono il mondo del lecito dallo spazio labirintico dell'avventura.[...]
Tratto dalle note di commento a FFF (festa, farina e forca), brano contenuto nell'album degli Area "1978, gli dei se ne vanno gli arrabbiati restano".
P.S. Non ho trovato il brano su you tube, tirate fuori i vecchi dischi o compretevelo.
Etichette:
commento musicale,
festa farina e forca,
spirito olimpico
eresia!
Carissimo diario,
sono stato a Merano ed ho visitato il Touriseum ( www.touriseum.it ).
Dateci un'occhiata, ne vale la pena.
Ecco cosa pensava la chiesa, in particolare l'arcivescovo di Bressanone, negli anni 1870-1890, del crescente interesse turistico per la zona ed in particolare dell'arrivo dei forestieri.
"Per la Chiesa il turismo è foriero di malanni: porta con sé pericolose idee liberali, mentalità cittadina, vita scostumata. La sua opposizione è tuttavia vana: sono sempre più numerosi i tirolesi che si pongono al servizio dei forestieri."
E oggi il papa si fa le sue belle vacanze a Bressanone.
Anche la chiesa non è più quella di una volta!
CHIODI (PUBBLICITA' PROGRESSO)
Informazione di servizio. Approfitto biecamente del Carissimo diario & pluriblog per pubblicizzare (non a scopo di lucro) il parto di un mio nuovo racconto breve. Sul blog http://www.giuseppegatto.com/ ho appena pubblicato CHIODI, un racconto dalle tinte un pò gialle. Se non ci hai niente di meglio da fare verresti a leggerlo? Puoi anche stamparlo e leggerlo poi comodamente assiso sul tuo trono o sotto l'ombrellone, fai tu (*).
Grazie e ciao
(*) ps: mi sento in dovere di avvertirti che se non vai a leggerlo ti si bucheranno in ordine sparso: il canotto, una ruota dell'auto in curva, il profilattico, la ruota di scorta, il salvagente, il quadratino di carta igienica nel momento sbagliato, il gommone, l'unica bottiglia d'acqua rimasta durante la lunga escursione pomeridiana sotto il sole d'agosto. Fai un pò tu!
Etichette:
blog tales,
Chiodi,
gialli,
Giuseppe Gatto,
leggere,
racconti,
racconti brevi,
racconti e storie,
scrivere,
storie
mercoledì 6 agosto 2008
PROCLAMATA MISS TOPOLINI
martedì 5 agosto 2008
lunedì 4 agosto 2008
domenica 3 agosto 2008
36/3
caro diario,
in questa calda domenica agostana, in attesa di partire verso il sud, mi interrogavo sulla proposta 'umanitaria' (parole sue) di Maroni di dare la cittadinanza italiana ai bambini rom abbandonati. Perchè la legge italiana già prevede di dare la cittadinanza a tutti i bambini (anche extracomunitari) abbandonati ed è il Tribunale dei minori che se ne occupa, dandoli poi in adozione. Ma forse bisogna soffermarsi di più sul significato che il ministro vuole dare alla parola abbandonati. Perchè se a decidere lo stato di abbandono di un minore rom ci saranno leggi ad hoc, allora più che umanitaria, questa proposta sembra proprio razzista, in quanto prevederebbe una disparità di trattamento fra bambini rom e bambini di altre etnie.
Ma forse non ho capito bene.
in questa calda domenica agostana, in attesa di partire verso il sud, mi interrogavo sulla proposta 'umanitaria' (parole sue) di Maroni di dare la cittadinanza italiana ai bambini rom abbandonati. Perchè la legge italiana già prevede di dare la cittadinanza a tutti i bambini (anche extracomunitari) abbandonati ed è il Tribunale dei minori che se ne occupa, dandoli poi in adozione. Ma forse bisogna soffermarsi di più sul significato che il ministro vuole dare alla parola abbandonati. Perchè se a decidere lo stato di abbandono di un minore rom ci saranno leggi ad hoc, allora più che umanitaria, questa proposta sembra proprio razzista, in quanto prevederebbe una disparità di trattamento fra bambini rom e bambini di altre etnie.
Ma forse non ho capito bene.
Iscriviti a:
Post (Atom)