venerdì 8 agosto 2008

Chiedete e vi sarà dato (a piene mani)


Una mattina d’inverno, svegliatosi da sonni inquieti, Gregorio Samsa -il cui cognome denota un’inequivocabile origine istriana- si trovò trasformato in uno psichiatra democratico. Da decenni Gregorio Samsa diventava altro che non fosse l’impiegato originario di Montona, sposato a una conterranea, due figli. Aveva conosciuto metamorfosi di vario tipo, da capitano di lungocorso, a sindaco di Genova, a segretario provinciale di partito, ma si trattava sempre di figure degne del massimo rispetto. Persone moralmente irreprensibili, con la testa sulle spalle, ammirate da tutti, in primis da sua moglie. Come confessare alla solida consorte d’essere diventato uno di quegli strizzacervelli che lasciano i pazzi liberi di girare per la città? ‘Svegliati o farai tardi in ufficio’ urlò la signora Samsa ‘Quale ufficio?’ le rispose lui ‘Non ci sono più uffici, sono prigioni che impediscono all’uomo d’esprimersi liberamente’. La donna capì al volo e si catapultò in camera in preda al panico ‘Sei matto?’ ‘I matti non ci sono, non esiste la malattia, la libertà è l’unica terapia’ stigmatizzò soddisfatto.
Nei primi mesi di vita da psichiatra democratico Gregorio Samsa imparò un sacco di cose riassumibili nel motto secondo il quale ‘non sta scritto da nessuna parte che la vita debba per forza essere dolore’. E se ciò valeva per la sua, tanto più doveva aver senso per quella degli altri. Quindi, non potendo più aprire i cancelli di San Giovanni, decise di spalancare le porte di altri ghetti di Trieste.
Cominciò da una riunione dell’‘Associazione impiegati istrodalmati’. ‘Duecentocinquantamila persone...’ esordì il presidente, subito interrotto da un ‘Trecentomila...’ cui seguì ‘Trecentocinquantamila...’ ‘Trecentocinquantamila e uno, trecentocinquantamila e due....chi offre di più?’ ‘Cinque miliardi’ urlò Gregorio. ‘Aggiudicato al signor Samsa per cinque miliardi!’ battè, euforico, il presidente. ‘Cinque miliardi di persone al mondo si sentono lontane. Da dove? Domanda oziosa. Siamo circa cinque miliardi di senza Io che vagano alla ricerca della libertà di esprimersi, evitando gesti o emozioni prescritte dalla nascita. Insomma, ripristiniamo la possibilità di vivere...’ ‘...nella casa di mia nonna a Isola’ concluse uno dei partecipanti. Gregorio Samsa non si fece cogliere in contropiede. ‘Anche’. Gestì mirabilmente il dibattito e convinse gli astanti a costruire una miniatura dell’Arena di Pola con gli stuzzicadenti, opera liberatoria e creativa in virtù di un progetto basato sulla memoria dei singoli.
Passò quindi alla comunità slovena, dove, dopo un’iniziale diffidenza, venne accolto con entusiasmo dalla parte comunista militante perchè democratico, e da quella ‘bianca’ perchè istriano (e quindi cattolico). ‘Zakaj, perchè?’ esordì ‘Perchè non essere liberi di parlare la lingua dei padri?’. Non la conosceva, ma superò ogni barriera orale, dando fondo a litri di terrano e a tre teglie di cevapcici. Ballò col gruppo folkloristico ‘Sveti Stepan’ e intonò col coro partigiano prima e con quello ‘Nema problema’ poi (una nuova formazione, sponsorizzata dalla Banca Padovana di Rovigo, Matera, Caltanissetta- Cassa di Risparmio di Poggibonsi- Ttbk) sia ‘Zivjo Tito’ che ‘Slovenja moja’. Sul finale salutò tutti facendosi il segno della croce con tre dita. Fu un trionfo.
Rincuorato dal successo, raggiunse il comprensorio di San Giovanni, l’unico luogo di Trieste che nessuno -manicomio o non manicomio- aspira a raggiungere, eccetto i Carabinieri. La sua carriera era al culmine. Animò dibattiti sul tema ‘Santo Domingo: cooperazione malata o malattie della cooperazione?’ o ‘Dalla Bibbia a Basaglia: storia della follia’. Imparò a tessere, disegnare coi colori a dita, navigare in Internet. Assistette a spettacoli teatrali di alto livello quale ‘L’urlo del Carso’ (un’ora e quarantacinque minuti di grida bilingui), ‘Tossico io, tossica tu, tossiamo assieme’ e l’indimenticabile ‘Come il Marco Cavallo sui macheroni’. Pubblicò alcuni volumi, si giocò a poker i risparmi accumulati nella precedente vita da istriano e venne intervistato 896 volte, di cui 895 da giornalisti de Il manifesto.
Poi osò volare là dove nemmeno le aquile volano. Si presentò alle donne, con l’aria di un umile maschio che si accinge a perseguire, implorante, la possibilità di visitare gli abissi della differenza, nel totale e incondizionato rispetto della specialità delle interlocutrici. Fragilmente disponibile, aveva preparato un discorso impeccabile, in cui articolare al femminile tutte le preposizioni della lingua italiana. Il testo prevedeva infatti un intervento delle donne per le donne e con le donne, rivolto alle donne dalle donne perchè chi, tra e fra le donne si muove, non osasse fare violenza sulle donne e nelle donne. Purtroppo aveva esagerato, esordendo con ‘Una ringraziamenta alla direttora della centra, alle assistente e a tutte quelle donne che si bàttona...’ ‘Scusa?’ interruppe brusca una moretta dagli occhiali fiammeggianti. Preso in contropiede ripetè l’ultima parola del suo discorso, sbagliando clamorosamente l’accento. Quell’accento sulla ‘o’ segnò la sua fine. Venne accerchiato e processato seduta stante. Ammise tutto. Confessò che già dai tempi in cui era impiegato, poi capitano di lungocorso, sindaco di Genova e segretario di partito l’operato non era suo ma del cazzo. Nel pronunciare la parola arrossì violentemente e balbettò ‘E’ ve...vero...pe...per me le do...’ Fu nervosamente interrotto dall’inquisitrice ‘Per te le donne sono solo culo e tette’. Annuì. Sottoscrisse una carta in cui ammetteva d’aver bloccato -per motivi di sesso- la carriera di dodici impiegate, di aver sbarcato a Istanbul una curda, di aver commissionato la costruzione dell’Acquario di Genova a Renzo Piano perchè non era donna come Gae Aulenti, di aver affidato il settore ‘puericultura’ a una compagna di partito, ignorando le sue aspirazioni a ‘economia e affari istituzionali’. Venne rilasciato, sei ore più tardi, solo dopo aver registrato (con tanto di Repubblica alle spalle) un filmato in cui ammetteva d’aver scelto di fare lo psichiatra democratico perchè si rimorchia di più. Fu ritrovato il giorno successivo nel portabagli di una R4 rossa, abbandonata sotto la statua di Marco Cavallo a San Giovanni. Tornò a casa a piedi, dopo uno straziante addio a colleghi e pazienti. Un tossico gli regalò la sua dose di metadone, una schizofrenica la bambola, un operatore un saggio con dedica e un collega psichiatra democratico gli affidò di nascosto un biglietto da consegnare alla famiglia con su scritto ‘Io sto bene, non preoccupatevi. Abbiate cura di voi’.
Una mattina d’inverno, svegliatosi da sonni inquieti, Gregorio Samsa preferì trasformarsi in un enorme insetto immondo...Kafkianamente.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

splendido

Anonimo ha detto...

Bello Bello!
Ma in sto blog non commenta più nessuno? Non avete una connessione wifi sotto il vostro ombrellone?