sabato 8 dicembre 2007

lavoro precario, amore precario?


Premesso che non intendo dilungarmi, ho notato che la Cinghiossinistra si batte come un leone contro il lavoro precario e la flessibilità, per il posto fisso, possibilmente statale. La Maradestra invece crede nelle moderne forme di lavoro part-time e di liquidità dell'impiego.

Stranamente le cose si invertono nella filiera dell'amore. Maradestra è per la famiglia indissolubile e la Cinghiossinistra è per l'amore precario. Almeno una volta, a dire il vero, perchè oggi tra Pacs, Dico e Cus (che ai miei tempi era il Centro Universitario Sportivo, favorevole al libero amore) anche la Cinghiossinistra si sta convertendo a forme di amore eterno.

Le mie certezze vacillano e forse solo in qualche Ceccantibus troverò risposta alle mie vacillazioni.

A meno che le mie autrici, riposto il rosario, non illuminino questo tunnel di cui non vedo l'uscita.


PS. Il vero blogger lavora anche di sabato e domenica.

7 commenti:

mf ha detto...

VISTO CHE QUI GLI AUTORI CAZZEGGIANO ED IL PAESE STA ANDANDO IN ROVINA, ANCHE PERCHE' NON SI TROVA UN POSTO LETTO IN NESSUNA STAZIONE SCIISTICA E' OPPORTUNO PUBBLICARE, DI SEGUITO, IL MANIFESTO PER IL PARTITO DEMOCRATICO

14 Giugno 2007




Il Manifesto del Partito Democratico redatto dal Comitato dei Saggi (Rita Borsellino, Liliana Cavani, Donata Gottardi, Roberto Gualtieri, Sergio Mattarella, Ermete Realacci, Virginio Rognoni, Michele Salvati, Pietro Scoppola, Giorgio Tonini, Salvatore Vassallo, Luciano Violante).

A seguito della prima riunione dell'Assemblea Costituente Nazionale del Partito Democratico, svoltasi a Milano il 27 ottobre 2007, una commissione composta da 100 costituenti è stata chiamata a scrivere il Manifesto dei valori del nuovo soggetto politico ormai costituito.


Noi, i democratici

Noi, i democratici, amiamo l’Italia. Amiamo la ricca umanità della sua gente; il suo patrimonio ineguagliabile di storia, arte e cultura; l’intreccio di splendide città, di magnifici ambienti naturali e paesaggi che da secoli attrae viaggiatori stranieri. Amiamo il senso profondo di ospitalità e di solidarietà degli italiani, la loro attenzione alla qualità della vita, la loro straordinaria capacità di produrre cose che piacciono al mondo.

Noi democratici abbiamo fiducia nell’Italia. Perché è un paese vitale, creativo, operoso, pervaso da un diffuso spirito d’intraprendenza. Un paese che ha contribuito alla prosperità di molte altre nazioni, attraverso l’intelligenza e la tenacia di tanti nostri concittadini.

E crediamo che l’Italia possa farcela a stare al ritmo di un mondo che cambia sempre più in fretta. Siamo convinti che saprà mantenere e migliorare i suoi livelli di vita, se non coltiverà la pretesa illusoria di serrare la porta o di chiudere gli occhi di fronte alle sfide globali, se accetterà di affrontarle insieme all’Europa, se riuscirà a ritrovare slancio, coesione e fiducia.

Ma l’Italia di oggi non è all’altezza delle sue ambizioni e delle sue possibilità. È un paese bloccato, smarrito, che rischia il declino. Il senso civico appare inaridito e il rispetto della legalità è troppe volte umiliato. La classe dirigente è terribilmente invecchiata e quasi esclusivamente maschile. Le donne sono ancora in larga parte escluse dai luoghi della rappresentanza politica. I giovani si scontrano con rendite e privilegi nelle imprese e nelle professioni, nella scuola, nell’università e nella ricerca, nella politica e nella pubblica amministrazione. Guardano con preoccupazione al futuro e faticano a costruirsi una vita autonoma.

Anche per questo, siamo un paese che fa pochi figli. Avvertiamo i segni di un pessimismo diffuso che riguarda la stessa identità dell’Italia come nazione. L’Italia rischia di tornare ad essere una «espressione geografica», divisa al suo interno tra aree forti, integrate in Europa, ed aree marginali e dipendenti; tra ceti capaci di competere con successo nel mondo globale e vasti strati sociali in sofferenza, di nuovo in lotta con la povertà. A sua volta, la politica è frammentata e rissosa. Si rivela troppo spesso debole nei confronti degli interessi forti ed incapace di svolgere una funzione nazionale. Piuttosto che aiutare l’Italia a rimettersi in moto tutta insieme, finisce per rappresentare o amplificare i particolarismi, attraverso partiti al tempo stesso troppo fragili e troppo invadenti. Diventa concreto così il rischio che si affermino leader populisti, e che nella società prevalgano pulsioni contrarie alla democrazia.

I problemi italiani si collocano d’altro canto in uno scenario più ampio. La democrazia ha vinto i totalitarismi del secolo scorso, ma deve oggi far fronte a sfide di prima grandezza. È spesso prigioniera degli interessi consolidati, più che interprete delle speranze dei deboli.

I partiti faticano un po’ ovunque a promuovere la partecipazione e a selezionare una classe dirigente credibile, capace di guardare lontano. Lo sviluppo tecnologico, l’intensificarsi degli scambi e delle comunicazioni rendono la nostra vita più dinamica e più ricca, ci rendono più aperti, ci fanno vivere meglio e più a lungo, accrescono la varietà delle cono- scenze a cui possiamo accedere, consentono a un numero crescente di persone, soprattutto tra i giovani, di sentirsi e di essere cittadini del mondo. E cittadini più informati, educati al dialogo con persone di altre culture, costituiscono una preziosa risorsa contro i rischi ricorrenti di chiusure e intolleranze. La democrazia rimane però per lo più relegata nei confini nazionali ed è quindi debole di fronte a fenomeni di dimensione globale come il drammatico deterioramento dell’ambiente e del clima, il terrorismo e i conflitti internazionali, dinamiche demografiche squilibrate, flussi migratori difficilmente controllabili, grandi disuguaglianze tra diverse aree del mondo, abusive ingerenze di interessi econo- mici che minano la sovranità di paesi deboli e ne ostacolano lo sviluppo economico e civile.

Il XX secolo, insieme a tante straordinarie conquiste, ci ha consegnato un modello di sviluppo che condanna milioni di persone e intere aree del pianeta alla povertà e che, se non subirà modifiche radicali, renderà la terra invivibile. Un modello di sviluppo che compromette la libertà delle nuove generazioni e su cui dunque la politica deve intervenire. Di fronte a sfide così impegnative, tutte le tradizionali famiglie politiche del centrosinistra europeo faticano a trovare, da sole, risposte adeguate. Solo da una comune ricerca può nascere quel pensiero nuovo di cui abbiamo bisogno per capire e governare i grandi cambiamenti nei quali siamo immersi. È per questo che vogliamo costruire un partito nuovo, di donne e di uomini, che superi definitivamente le barriere ideologiche che nel secolo scorso hanno diviso le forze riformatrici e aiuti l’Italia a guardare con fiducia al secolo che è appena iniziato. Con il Partito democratico intendiamo portare a compimento un percorso iniziato da più di dieci anni, con la feconda intuizione dell’Ulivo.

Vogliamo anche contribuire a rinnovare la politica europea, dando vita, con il Pse e le altre componenti riformiste, ad un nuovo vasto campo di forze, che colmi la carenza di indirizzo politico sulla scena continentale. E intendiamo concorrere a costruire nel mondo una nuova alleanza tra tutti quelli che vogliono fare della globalizzazione una opportunità per molti piuttosto che l’occasione per rafforzare il potere e la ricchezza di pochi.

Ci riconosciamo nei valori di libertà, uguaglianza, solidarietà, pace, dignità della persona che ispirano la Costituzione repubblicana e nell’impegno a farli vivere in Europa e nel mondo. Questi valori discendono dai molti affluenti della cultura democratica europea. Hanno le loro radici più profonde nel cristianesimo, nell’illuminismo e nel loro complesso e sofferto rapporto. Traggono alimento sia dal pensiero politico liberale, sia da quello socialista, sia da quello cattolico democratico. Sono maturati nella dialettica tra queste diverse tradizioni e dal confronto con le sfide proposte dalle culture ambientalista, dei diritti civili e della libertà femminile, oltre che nella condanna delle ideologie e dei regimi totalitari del novecento. Sono anche frutto di una lunga sequenza di conflitti, basati su appartenenze religiose o di classe, e di tragici errori. Oggi possiamo considerare alle nostre spalle quei conflitti e quegli errori. Oggi sono i valori che ci uniscono e gli obiettivi comuni che intendiamo realizzare a definire la nostra identità politica.

Per questo, oggi, noi, i democratici, possiamo proporre, assieme, un progetto forte e credibile per rinnovare l’Italia e costruire l’unità dell’Europa.


L’Italia, una nazione d’Europa

Noi democratici pensiamo l’Italia come una grande nazione d’Europa. Una comunità culturale e politica fondata sui valori democratici della Costituzione e sulla capacità di arricchire le proprie radici nell’incontro e nel dialogo con altre culture e altri popoli. Noi democratici vogliamo l’unità dell’Europa. Un’Europa politica, dotata di una sua Costituzione, e non un semplice mercato comune. Un’Europa capace di promuovere il proprio sviluppo e di valorizzare il proprio modello sociale. Un’Europa che favorisca l’autogoverno responsabile delle sue comunità e l’unificazione della sua società civile intorno ai principi della democrazia, del dialogo culturale, della partecipazione e dell’inclusione. Un’Europa capace di parlare con una voce sola sulla scena internazionale e di dare alla imprescindibile solidarietà transatlantica con gli Stati Uniti d’America un carattere paritario.

Un’Europa impegnata, in primo luogo insieme alle altre grandi democrazie, nella costruzione di un ordine mondiale fondato su istituzioni multilaterali. Un’Europa consapevole che ciò è condizione per combattere efficacemente le povertà, salvaguardare gli equilibri ambientali sulla linea già espressa con gli accordi di Kyoto, promuovere la democrazia, i diritti umani e il dialogo tra le culture, rifiutando la logica dello «scontro di civiltà». Un’Europa potenza civile, che sappia, anche con una comune politica di difesa, dare il proprio contributo per garantire e preservare la pace nel mondo e combattere il terrorismo fondamentalista con la forza e gli strumenti della legalità internazionale. È interesse nazionale dell’Italia valorizzare, in Europa, la sua vocazione mediterranea, tanto più a seguito dell’impetuoso sviluppo dell’Asia. Come principale proiezione dell’Europa nel Mediterraneo, l’Italia può svolgere una funzione politica, economica e culturale di primaria importanza, ed affrontare in forme nuove e più efficaci lo storico squilibrio tra il Nord del Paese e il
nostro Mezzogiorno.

Noi vogliamo che l’Europa, in particolare grazie all’Italia, operi per trasformare il Mediterraneo da epicentro dei conflitti mondiali a luogo privilegiato del dialogo e della collaborazione tra popoli, culture, religioni, impegnandosi in primo luogo per garantire la sicurezza di Israele e il diritto dei palestinesi ad uno stato pacifico e democratico, per favorire l’ingresso della Turchia nell’Unione europea, per la stabilizzazione dei Balcani e la loro piena inclusione nella casa comune europea. Noi vogliamo un’Italia più libera, più giusta e più prospera. Per questo intendiamo partecipare allo sviluppo del modello sociale europeo, rilanciandone i due principi ispiratori di fondo: la valorizzazione dell’iniziativa, dei talenti e dei meriti; la promozione di un tessuto sociale solidale, attento al benessere di tutti, in cui nessuno si perda o resti indietro. Vogliamo investire nella produzione e nella diffusione delle conoscenze. Vogliamo un’Italia più capace di fare sistema, di darsi obiettivi condivisi e perseguire un disegno comune. E pensiamo che sia necessario un profondo cambiamento del nostro sistema produttivo, sia incentivando l’innovazione e la crescita delle imprese, sia valorizzando i talenti custoditi nelle pieghe del nostro variegato territorio, nel fitto tessuto delle comunità locali che da sempre alimentano la nascita di nuove imprese e la nostra grande tradizione artigianale.

Dobbiamo coltivare il capitale umano, il senso civico e la coesione sociale, senza i quali i nostri distretti industriali non sarebbero mai decollati e la vocazione turistica di tanta parte del nostro paese verrebbe sprecata. Noi vogliamo un’Italia più unita, più omogenea sul piano economico e sociale. Per questo mettiamo al centro della nostra azione il Mezzogiorno. Dobbiamo assolutamente cogliere, come nazione, l’opportunità di farne il principale raccordo che, attraverso il Mediterraneo, unisca l’Europa e l’Asia. In questo quadro, la predisposizione di adeguate piattaforme logistiche, infrastrutture di comunicazione e reti telematiche, è fondamentale per attrarre stabilmente capitali e iniziative imprenditoriali. A questo fine vogliamo chiamare a raccolta tutte le migliori energie della nazione, per un progetto che richiede ingenti risorse economiche, ma soprattutto un impegno straordinario per riformare profondamente il settore pubblico, per combattere inefficienze, favoritismi, corruzione e mettere in moto le grandi riserve di ingegno di cui il Mezzogiorno è ricco.

Noi democratici vogliamo che l’Italia dia ad ogni persona uguali opportunità di affermarsi grazie alle proprie capacità, alla creatività, al merito. Vogliamo un paese che premi le persone in base al loro lavoro e alla loro capacità di creare opportunità di lavoro per altri, più che in base alle eredità e alle rendite. La competenza, l’operosità, l’ingegno, la fatica, la capacità di creare imprese com- petitive devono essere concretamente riconosciute e apprezzate, in tutti i campi e ad ogni livello. Per questo combattiamo le rendite corporative, la gerontocrazia, il nepotismo, che bloccano l’innovazione, ritardano l’assunzione di responsabilità da parte dei giovani, mortificano e sprecano i migliori talenti del nostro paese. Per questo ci battiamo perché si affermi il principio di responsabilità, in base al quale il primario ospedaliero incapace, il dirigente pubblico inefficiente, l'imprenditore che non è in grado di stare correttamente sul mercato, il lavoratore dipendente inoperoso, devono essere adeguatamente sanzionati e fare un passo indietro, a vantaggio di persone più meritevoli e capaci.

Per questo non smetteremo mai di indignarci di fronte alla pervicace mancanza di fiducia nella capacità di pensiero e di progetto delle donne, avvertibile in tutti i settori della società, dal lavoro alla vita privata. Su questo tema colpisce la distanza culturale che ci separa dagli altri paesi europei. Una società che si dica civile deve mutare a fondo l’atteggiamento culturale verso la donna, attuando una rappresentazione mediatica meno arretrata, stereotipata e discriminatoria, attraverso iniziative di formazione, codici deontologici e leggi. Per questo ci impegniamo a dare valore alle differenze, a realizzare compiutamente le pari opportunità, rendendo effettivo quanto finora è rimasto troppo spesso scritto sulla carta.

Noi democratici siamo convinti che l’Italia abbia bisogno di una cura straordinaria di concorrenza nei mercati e di efficienza nel settore pubblico. Una cura necessaria sia per liberare le energie che servono a rilanciare lo sviluppo, sia per promuovere un maggior riconoscimento del merito, una più forte mobilità sociale, una più avanzata uguaglianza delle opportunità. Più concorrenza, anzitutto.

Le imprese non devono essere assistite, protette o guidate, ciò che le deresponsabilizza e le espone a rapporti opachi con la politica. Hanno bisogno di buoni servizi, di energia a costi ragionevoli, di un carico fiscale non superiore a quello degli altri paesi europei, di reti infrastrutturali moderne, siano esse pubbliche o private. E di sanzioni efficaci in caso di abuso di posizione dominante o di altri comportamenti illeciti.

L’Italia ha anche bisogno di una pubblica amministrazione più efficiente, che produca da un lato migliori servizi per le imprese e renda effettivi i diritti dei cittadini, specie di quelli con minori risorse e capacità di relazione; dall’altro consenta di recuperare le grandi capacità di lavoro esistenti nel settore pubblico, oggi mortificate dalle intrusioni della politica, dal mancato riconoscimento dei meriti, dall’assenza di sanzioni per chi non si impegna.

Ma vogliamo anche che il nostro diventi un Paese più giusto, in cui il benessere sia diffuso. Siamo convinti che senza coesione non c’è sviluppo. Per questo non smetteremo mai di lottare per l’uguaglianza, contro la povertà e l’emarginazione. Per noi ogni persona ha diritto ad una buona formazione, alle cure migliori, ad un reddito adeguato. Per noi il lavoro è il cardine di una vita attiva e autonoma, strumento di realizzazione e di liberazione dal bisogno. Pensiamo ai lavori al plurale, a quello nella produzione e nei servizi, al lavoro di cura e a quello volontario; al lavoro che assorbe, che manca, che si perde e diventa troppo spesso dramma umano e fa miliare. L’impegno per una piena e buona occupazione è un cardine della nostra azione. Riteniamo importante promuovere tutti i lavori, anche nelle forme nuove, flessibili e autonome; ma vogliamo che la flessibilità non sia pagata con la precarietà e con le intollerabili insicurezze di oggi. Vogliamo tagliare le con- venienze al lavoro nero e sommerso, che produce sfruttamento e favorisce la piaga intollerabile delle «morti bianche».

Vogliamo che le tutele non riguardino più solo il posto di lavoro, ma anche la capacità dei lavoratori di stare sul mercato. Non accettiamo che maternità, cura della malattia, studio e riqualificazione siano visti come incidenti deprecabili e non come benefici per la società intera.

Per questo assegniamo un ruolo centrale alla formazione di qualità lungo l’intero arco della vita e intendiamo legare i redditi di disoccupazione allo svolgimento di attività formative e alla disponibilità al lavoro. Alla questione salariale che è aperta nel nostro paese, vogliamo ricercare risposte che premino il merito e la fatica. Vogliamo democrazia nei luoghi di lavoro, corrette relazioni sindacali, partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori.

Noi democratici vogliamo rifondare il nostro stato sociale, che tende a offrire tutele solamente a chi ha o ha avuto un lavoro stabile lasciando gli altri indifesi, in primo luogo i giovani e le donne.

Vogliamo ridisegnarlo in funzione del lavoro, delle giovani generazioni e della mobilità sociale. Vogliamo uno stato sociale universalistico, quanto alla platea dei destinatari; selettivo, in base ai bisogni, nelle prestazioni; equo, in base ai redditi familiari, nella contribuzione. Proponiamo un modello attivo di stato sociale che non si limiti a proteggere dai rischi ma stimoli la crescita delle opportunità personali e sociali attraverso servizi di qualità e integrati sul territorio. In particolare, dobbiamo colmare storiche carenze nei servizi per l’infanzia, i disabili e gli anziani non autosufficienti.

Sappiamo che la prosperità dell’Europa, e dell’Italia in particolare, dipenderanno dalla nostra capacità di sviluppare conoscenze evolute ed idee creative, di puntare sull’innovazione e la qualità dei nostri prodotti, valorizzando al meglio la straordinaria sedimentazione di competenze, gusto, cultura che proviene dall’ambiente in cui viviamo e dalla nostra storia. Secondo noi si deve quindi investire di più nell’istruzione, nella ricerca e nell’arte, sapendo che la cultura è elemento costitutivo della civiltà europea e non uno mero strumento per la produzione.

Vogliamo assicurare un futuro alla cultura italiana favorendo la piena internazionalizzazione della nostra comunità scientifica, spesso segnata da eccessivo provincialismo. Vogliamo rafforzare e sviluppare un forte sistema pubblico di Università e centri di ricerca di eccellenza, affermando il principio dell’autonomia, della competizione tra le strutture sulla base di una valutazione rigorosa dei risultati, del rinnovamento generazionale su basi meritocratiche del corpo docente.
Crediamo in una scuola inclusiva, sempre più integrata in un sistema europeo della formazione, che garantisca effettivamente le pari opportunità, che valorizzi le differenze e che contribuisca a costruire un’etica pubblica condivisa intorno ai principi della Costituzione.

È nella scuola che si innestano le radici della cultura democratica e civile indispensabile ad una convivenza sempre più multiculturale. Anche con la scuola si previene il teppismo, la violenza e il razzismo. Per questo vogliamo restituire prestigio agli insegnanti. Vogliamo sostenere un sistema scolastico pubblico integrato (statale e non statale) che garantisca una elevata soglia di qualità ai percorsi formativi ed escluda i diplomifici.
Nel campo dell’istruzione superiore vogliamo dare un sostegno effettivo ai «capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi», di cui parla la Costituzione, perché possano studiare in centri di eccellenza di livello internazionale ed acquisire quella cultura cosmopolita che serve alla classe dirigente di un grande paese come l’Italia.

Vogliamo rilanciare l’industria culturale e della comunicazione italiana, essendo consapevoli che i media oggi costituiscono un settore strategico sia come veicolo di informazione e cultura sia come opportunità di lavoro altamente qualificato.

Questo settore nel nostro Paese è oggi più di altri ingessato a causa di una limitata concorrenza, ed in particolare a causa del carattere oligopolistico del mercato pubblicitario e televisivo che va a nostro avviso superato.

Non possiamo limitarci ad acquistare contenuti se non vogliamo condannarci da un lato alla subalternità culturale e dall’altro a stare fuori da una delle più importanti industrie globali. Il cinema italiano è stato tra i protagonisti della cultura del Novecento. È noto che il «racconto» è il cuore dell’identità culturale di un Paese e noi vogliamo che sopravviva e si diffonda. È importante, oltre che economicamente strategico, restituirgli il suo ruolo nella cultura internazionale. A questo fine, non pensiamo a pratiche protezionistiche quanto ad incentivi per le coproduzioni europee che siano in grado di stare sul mercato mondiale. Vogliamo che la musica, il teatro e le altre forme di espressione artistica siano parte integrante della formazione culturale e abbiano quindi l’attenzione e il sostegno necessari. Vogliamo reagire allo scadimento della proposta televisiva puntando sulla qualità dei contenuti e l’obiettività dell’informazione, a cominciare dal servizio radiotelevisivo pubblico.

Vogliamo un giornalismo della carta stampata libero da condizionamenti e interessi di impresa estranei all’attività editoriale. Vogliamo promuovere la libera circolazione dei prodotti dell’ingegno, anche attraverso le nuove forme di scambio rese possibili dalle tecnologie informatiche, se prive di fini di lucro, che consideriamo un fondamentale fattore di libertà, di eguaglianza e di diffusione della conoscenza.

Nel progettare l’Italia di domani, non possiamo peraltro dimenticare che essa viene ogni giorno resa migliore dallo spirito di sacrificio di milioni di immigrati. Noi crediamo che siano necessari un sistema di programmazione degli ingressi realistico, ed una politica repressiva efficace per contrastare l’immigrazione illegale, per reprimere i trafficanti e gli sfruttatori, per punire chi si arricchisce con il lavoro nero. Ma vogliamo anche una politica dell’accoglienza che garantisca i diritti dei lavoratori stranieri e che, facendo questo, tuteli nei fatti anche i lavoratori italiani. Vogliamo norme e procedure chiare che consentano agli immigrati onesti di dormire tranquilli, di essere rispettati e fare progetti per la loro vita.

Diciamo chiaramente che lo straniero che condivide i valori della nostra Costituzione, che è inserito nel nostro paese e contribuisce alla nostra vita sociale deve avere la possibilità, se lo desidera, di diventare italiano. Diciamo chiaramente che le centinaia di migliaia di bambini stranieri nati in Italia, che frequentano le stesse scuole, parlano la stessa lingua e nutrono gli stessi sogni dei nostri figli sono italiani a tutti gli effetti e come tali devono essere riconosciuti di diritto.
Diciamo chiaramente che i talenti di questi bambini non devono andare sprecati, a loro spettano le stesse opportunità di qualsiasi altro bambino italiano.

L’Italia deve irrobustire la cultura e la pratica della legalità. Per questo vogliamo una magistratura responsabile e indipendente, secondo i principi della Costituzione, e una giustizia efficiente, capace di assicurare l’attuazione del diritto in tempi ragionevoli. L’Italia deve liberarsi dalla mafia e dalle forme deviate di esercizio del potere politico e burocratico, che hanno costituito in alcune aree del Paese vere e proprie «strutture di dipendenza», e tengono soggiogata la società civile, distorcendo i rapporti tra cittadini e istituzioni. Vogliamo uno Stato impegnato a difendere i cittadini da tutte le forme di criminalità, anche quelle che sembrano meno gravi, ma colpiscono duramente la libertà e la sicurezza di tante persone, soprattutto le più deboli. Per questo siamo profondamente grati a chi opera nelle forze dell’ordine con professionalità, senso delle istituzioni e spirito di sacrificio.

Contro la prepotenza degli interessi particolari, più forte quando le istituzioni sono deboli, vogliamo preservare l’autorevolezza dei poteri pubblici e la loro effettiva capacità di esprimere una efficace funzione redistributiva e regolatrice. D’altro canto non riteniamo che l’intervento pubblico debba essere necessaria- mente affidato ad istituzioni statali e siamo convinti dell’importanza della sussidiarietà. Pensiamo che in molti settori, dalla formazione professionale all’istruzione, dalle politiche sociali alla promozione dello sviluppo economico, alla tutela del nostro patrimonio storico-culturale e ambientale, l’intervento pubblico, debba valorizzare la voce e il ruolo delle comunità locali, delle imprese, delle associazioni economiche, del volontariato e delle famiglie.

Per rafforzare la democrazia abbiamo bisogno di istituzioni adeguate, ma anche di classi dirigenti responsabili, così come di una concezione matura della cittadinanza, alimentata dalla consapevolezza da parte di ciascuno dei propri diritti e dei propri doveri, da un rinnovato senso dello stato, da una chiara, diffusa responsabilità per il bene comune, da una più solida etica pubblica, da un sincero patriottismo costituzionale.
Noi democratici riconosciamo il fondamentale valore della Costituzione come patrimonio comune di tutto il Paese, che il referendum del giugno 2006 ha contribuito a radicare nella coscienza degli italiani. Per rendere le nostre istituzioni democratiche più solide secondo noi è necessario completare la riforma federale dello Stato, attuandone gli aspetti più innovativi, tra cui il federalismo fiscale, e correggendo le disposizioni che si sono rivelate portatrici di conflitti e di incertezze.

Abbiamo bisogno di governi stabili e autorevoli, così come abbiamo bisogno di un Parlamento formato da un numero di componenti più ridotto e più efficiente nelle modalità di lavoro, più rappresentativo non solo dei territori ma anche dei generi. Noi pensiamo ad una Camera titolare dell’indirizzo politico e della funzione legislativa. E ad un Senato che costituisca la sede di rapporti collaborativi tra lo Stato e gli altri soggetti istituzionali che compongono la Repubblica, che concorra paritariamente all’approvazione delle modifiche alla Costi- tuzione e che abbia il potere di richiamo delle leggi approvate dalla Camera, con la funzione di suggerire correzioni e miglioramenti.

Vogliamo una legge elettorale per il Parlamento nazionale che stabilisca un chiaro rapporto fra l’eletto, il territorio e gli elettori, contrasti la frammentazione partitica e favorisca l’evoluzione del sistema politico italiano verso una compiuta democrazia dell’alternanza. E pensiamo che alle stesse finalità si debbano ispirare tutte le norme che incidono sulla rappresentanza, come i regolamenti parlamentari o la legislazione sul finanziamento della politica.

Al centro del nostro impegno politico non c’è una astratta ideologia ma ci sono le persone, le loro necessità materiali, intellettuali e spirituali, la loro naturale aspirazione al benessere e alla libertà, i loro diritti. Non ci piacciono invece la cultura, la mentalità e le politiche che puntano solo al vantaggio egoistico e all’arricchimento individuale. I progetti dei singoli, nella società che vogliamo, sono progetti di persone aperte agli altri, che affermano diritti ma anche ricono- scono doveri. La società che vogliamo riconosce il valore e coltiva l’etica del lavoro, attraverso cui le persone mettono alla prova la loro responsabilità e i loro talenti.

È una società intessuta da un denso reticolo di associazioni no profit e di volontariato. La società che vogliamo riconosce il valore e favorisce la formazione della famiglia, dentro cui le persone mettono alla prova la solidarietà e il reciproco rispetto tra i generi e le generazioni. Abbiamo d’altro canto ben chiari i limiti della politica, non crediamo nella onnipotenza dello Stato, difendiamo la sua laicità, abbiamo a cuore la difesa dei diritti civili e lottiamo contro tutte le discriminazioni. Secondo noi la politica e la legge devono intervenire con cautela sui temi che hanno a che fare con la scienza e la tecnica in riferimento alla vita umana, al suo inizio, alla sua fine e alla sua riproduzione.
Si tratta di questioni che vanno acquisendo una rilevanza centrale nel dibattito pubblico, perché sollevano inediti e radicali interrogativi di natura etica, che sfidano l’intelligenza e la coscienza. Noi riteniamo che solo il dialogo tra diverse visioni religiose, etiche e culturali può portare a soluzioni normative ragionevoli e condivise, rispettose del criterio irrinunciabile della di- gnità della persona umana e capaci di far incontrare il valore della libertà di ri- cerca e di scelta col principio per cui non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito.

Noi concepiamo la laicità non come un'ideologia antireligiosa e neppure come il luogo di una presunta e illusoria neutralità, ma come rispetto e valorizzazione del pluralismo degli orientamenti culturali e dei convincimenti morali, come ri conoscimento della piena cittadinanza – dunque della rilevanza nella sfera pubblica, non solo privata – delle religioni. Le energie morali che scaturiscono dall’esperienza religiosa, quando riconoscono il valore del pluralismo, secondo noi rappresentano infatti un elemento vitale della democrazia.

E la laicità dello Stato, così come sancita dalla Costituzione, è garanzia che ogni persona sia rispettata nelle sue convinzioni più profonde e al tempo stesso si possa piena- mente integrare nella comunità nazionale.
In questo quadro, riteniamo che i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica siano stati validamente definiti dalla Costituzione e che ogni sviluppo di quei rapporti debba muoversi nel solco fis- sato dalla stessa Carta costituzionale.


L’Ulivo, il nostro partito

Per dare corpo a questo progetto serve un partito nuovo, un grande Partito democratico, che rinnovi la politica italiana, il suo costume, i suoi comportamenti. Un partito che aiuti la società italiana a trovare una sintesi, ad andare oltre i localismi e le chiusure corporative che impoveriscono il nostro presente e mettono a repentaglio il nostro futuro.

Serve un grande partito democratico che dia all’Italia governi stabili e un forte impulso riformatore. Per oltre un decennio questo progetto è stato coltivato all’ombra di un sentimento che ci accomuna e di un simbolo che ci rappresenta: l’Ulivo, il simbolo del nostro radicamento nella società italiana e della solidità dei nostri valori, dell’orgoglio di un’Italia operosa, del suo buon vivere, di un’Italia nazione d’Europa nel cuore del Mediterraneo, della nostra aspirazione alla fratellanza e alla pace.
Sottoscrivendo questo manifesto ci impegniamo a lavorare con piena convinzione, determinazione e lealtà per fare, a tutti gli effetti, entro la fine del 2008, dell’Ulivo il Partito dei democratici, il nostro partito.

Sottoscrivendo questo manifesto, ce ne sentiamo e ne siamo già parte. Sottoscrivere questo manifesto e versare una quota minima, saranno condizioni per partecipare, sulla base del principio «una testa un voto», alla formazione degli organi costituenti, secondo le regole definite in modo consensuale dal coordinamento dell’Ulivo. Ci impegniamo a lavorare con passione per costruire un partito di popolo, radicato e diffuso sul territorio, capace di rendere partecipati e condivisi i processi di riforma. Un partito che riconosca e rispetti il pluralismo delle organizzazioni sociali, che riconosca e rispetti la distinzione tra la sfera dell’intrapresa economica privata e la sfera dell’azione politica. Un partito che riconosca e rispetti il pluralismo delle posizioni che maturano al suo interno ma che rimanga sempre capace di identificare una linea programmatica comune e di portarla avanti in maniera coesa e coerente nelle istituzioni. Ci impegniamo a costruire un partito che, sin dalla sua fase fondativa, sia aperto alla partecipazione di una larga platea di cittadini, ed affidi al loro voto, diretto e segreto, la scelta della leadership.

Un partito capace di parlare al paese con una voce autorevole, che proponga il suo leader alla guida del Governo della nazione, un partito che affidi al metodo delle primarie la scelta delle candidature alle massime cariche di governo nelle Regioni e negli Enti locali.
Ci impegniamo a costruire un partito a rete, che preveda molteplici opportunità di adesione e di impegno, che assuma le differenze di genere, di ispirazione culturale, di interesse sociale e professionale. Un partito organizzato su base federale, che preveda una ampia autonomia regionale e territoriale. Per noi, i democratici, la politica è prima di tutto servizio, è una nobile forma di amore per il prossimo e per il nostro paese. Per questo vogliamo riscattarne il valore, difendendolo dalle degenerazioni affaristiche, dalle manipolazioni delle procedure democratiche, dalle oligarchie inamovibili, restituendo fiducia alle tante persone che sono disposte a impegnarsi per passione civile, in forma volontaria e a proprie spese.

Sappiamo che la politica, soprattutto quando implica l’assunzione di responsabilità istituzionali, richiede straordinarie doti di dedizione, talento e competenza. Attitudini che in larga misura maturano nella società e che, dentro un grande partito democratico, devono essere coltivate attraverso l’esperienza, la formazione e la ricerca. Al tempo stesso sappiamo che la politica può essere o apparire, per chi la pratica, fonte di privilegi personali inaccettabili, e può conferire posizioni di potere che si auto-perpetuano.

Noi crediamo quindi che, quando l’attività politica si svolge nelle istituzioni, deve poter godere del massimo rispetto ma deve anche essere sottoposta a stringenti forme di rendiconto, oltre che ad un periodico ricambio. Per questo nel nostro partito la partecipazione alla vita interna, l’assunzione delle candidature e degli incarichi, così come le nomine di competenza politica in enti ed istituzioni pubbliche, saranno regolate da un rigoroso codice deontologico e da norme statutarie che, ad ogni livello organizzativo e in ogni ambito istituzionale, stabiliscano un limite al rinnovo dei mandati. Il Partito democratico fa propria la norma antidiscriminatoria sulla rappresentanza minima del 40% per ciascuno dei due generi.
Siamo ben consapevoli che dando vita al Partito democratico realizziamo un cambiamento di portata storica.

Con la trasformazione dell’Ulivo in un partito superiamo definitivamente la prima lunga stagione della vita repubblicana e creiamo un soggetto destinato a segnare il profilo della politica italiana ed europea nel secolo che è appena iniziato. Abbattiamo definitivamente i muri ideologici del novecento e cominciamo a costruire ponti, tra culture politiche e setto ri della società italiana, tra i generi e le generazioni. Apriamo strade nuove per il futuro del nostro Paese.

Anonimo ha detto...

TROPPO LAICO. QUESTO E' IL MIO PUNTO DI VISTA.

PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

PREFAZIONE DEL CARDINALE ALFONSO LOPEZ TRUJILLO

AL VOLUME:

"Lexicon. Termini ambigui e discussi
su famiglia, vita e questioni etiche"



Il Lexicon contempla una varietà di possibilità, come suggerito dal titolo completo.

Indicando il reale contenuto e la verità che deve guidare il suo uso appropriato, cerca di illuminare riguardo ad alcuni termini o espressioni ambigue o equivoche, che risultano di difficile comprensione. In questo campo già esiste una gravitazione culturale che complica ulteriormente una giusta interpretazione. In questo caso occorre seguire pazientemente l'origine e lo sviluppo delle espressioni e della loro diffusione. Non saranno rari i casi in cui si coniano termini che non giungono a occultare completamente un'intenzione precisa: evitare ciò che risulta sbalorditivo, in modo tale da addolcire l'espressione, al fine di evitare un rifiuto quasi istintivo. È il caso dell'abile formulazione "interruzione volontaria della gravidanza" o "pro-choice", di cui si parlerà in seguito.

Esistono numerose espressioni, in uso nei Parlamenti e nei fori mondiali, che possono occultare il loro reale contenuto e significato, e che sono perfino utilizzate senza che politici e parlamentari ne abbiano una piena consapevolezza e, in alcuni casi, per la mancanza di una completa formazione filosofica, teologica, giuridica, antropologica ecc. Ciò ostacola maggiormente la giusta comprensione di alcuni concetti. Vorremmo che il Lexicon costituisse un sussidio in questi casi e suscitasse l'interesse per una informazione seria e obiettiva e che stimolasse anche il desiderio di una formazione più approfondita in questo campo di frontiera tra varie scienze e discipline.

Il problema è accresciuto dalla mentalità imperante del positivismo giuridico, per il quale la bontà della legge non è più adeguata alla persona umana, integralmente concepita, ma la procedura concordata per la formulazione e accettazione della legge finisce per adeguarsi alla volontà della maggioranza. Si giunge così a una concezione della "verità politica" e di una democrazia che non saprà sottrarsi al concetto della legge come imposta dal più forte. Ci sono anche diversi concetti oscuri e di difficile comprensione, perché i contenuti stessi richiedono una paziente e serena precisazione. Ciò, naturalmente, si complica quando cresce la riluttanza ad accettare la legge naturale e a vincolare le leggi a un riferimento etico. Ovviamente, non possiamo porre al margine la ricchezza della fede che dà speciale profondità a ciò che la ragione può cogliere.

Molto opportuno è l'insegnamento del Catechismo della Chiesa cattolica: ""L'intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale [...]. Dio stesso è l'autore del matrimonio" (GS 48). La vocazione al matrimonio è iscritta nella natura stessa dell'uomo e della donna, quali sono usciti dalla mano del Creatore. Il matrimonio non è un'istituzione puramente umana, malgrado i numerosi mutamenti che ha potuto subire nel corso dei secoli, nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali. Queste diversità non devono far dimenticare i tratti comuni e permanenti. Sebbene la dignità di questa istituzione non traspaia ovunque con la stessa chiarezza, esiste tuttavia in tutte le culture un certo senso della grandezza dell'unione matrimoniale, poiché "la salvezza della persona e della società umana e cristiana è strettamente connessa con una felice situazione della comunità coniugale e familiare" (GS 47)" (n. 1603).

Non è intenzione di questa iniziativa combattere o andare contro istituzioni e persone e, ancor meno, fare imposizioni. Vorremmo piuttosto proporre, persuadere con amore, indirizzando verso la verità, con rispetto, con la speranza che si instauri e si rafforzi un dialogo fecondo. Non possiamo eludere la verità alla quale l'uomo ha diritto per poter respirare secondo una genuina libertà. Certe espressioni approfittano della scarsa informazione o dell'ingenuità di quelli che ne fanno uso, i quali, sedotti dall'ambiguità, non si rendono perfettamente conto dell'inganno. In tal modo si cerca di manipolare la stessa opinione pubblica, occultando aspetti sgradevoli o scioccanti della realtà o della verità. Poiché i termini coniati non sono propriamente innocenti, coloro che ne sono gli autori cercano di far progredire i metodi per ottenere i fini che essi desiderano raggiungere alterando il significato dei termini. Ciò per evitare un rifiuto che essi stessi vedono come un rischio normale.

L'astuzia nella ricerca di espressioni ambigue, raggiunge livelli preoccupanti. Si inizia a parlare di un linguaggio orwelliano. Il prestigioso scrittore George Orwell, in 1984, faceva la critica delle forme totalitarie nelle quali, a scopo di propaganda, certi termini ripetuti per suscitare riflessi condizionati sfuggivano alla chiarezza dell'intelligenza e finivano per assumere un significato contrario; ad esempio, schiavitù significa libertà, il male si identifica col bene, la menzogna con la verità.

Si è denunciato il fatto che uno dei sintomi più preoccupanti dell'offuscamento morale è la confusione dei termini che porta a livelli estremamente degradanti quando essi vengono utilizzati, con freddo calcolo, per ottenere un cambiamento semantico, cioè del significato delle parole, in una maniera artificiosamente pervasiva. Questa incredibile capacità di mutazione semantica, che mostra il vuoto di un'antropologia, si manifesta anche nei concetti dei "diritti", che diventano selettivi e capricciosi.

Non sempre è coerentemente riconosciuta l'universalità dei diritti; si fanno infatti delle "eccezioni", le quali negano lo spessore e l'integralità dei diritti, specialmente riguardo a quanto detto nell'articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti umani: "Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona". L'impressionante dilagare del massacro dell'aborto mostra l'uso relativo di un diritto, che dovrebbe essere fondamentale. Giovanni Paolo II ha scritto: "I diritti umani, infatti, sono strettamente intrecciati tra loro, essendo espressione di dimensioni diverse dell'unico soggetto, che è la persona. La difesa dell'universalità e dell'indivisibilità dei diritti umani è essenziale per la costruzione di una società pacifica e per lo sviluppo integrale di individui, popoli e nazioni" (1).

Nell'equivocità crescente si arriva anche a proporre nuovi diritti, non come conquista in temi prima non riconosciuti che meritano di essere presi in considerazione, ma come nuove forme di manipolazione. A questo riguardo, è stato validamente affermato da p. Abelardo Lobato: "Presi separatamente, sembrano concetti affascinanti, ma non è una questione di novità ma più precisamente una propria diversità del linguaggio, con lo scopo di sottrarre alcuni diritti umani a ogni norma etica per relegarli nella privacy attraverso un linguaggio ambivalente che porta avanti idee e pratiche che contraddicono ciò che a prima vista significano. Un'espressione è manipolata, e camuffata per penetrare tutti gli ambienti attraverso i potenti mezzi di comunicazione. Esiste una separazione sempre più grande fra il pensiero, la realtà stessa, e la parola che esprime, la quale diventa oggetto di manipolazione. Alla fine vengono negate le tre cose che i termini sembrano affermare: la novità, i diritti, e "l'humanum". Per non offendere l'orecchio, si sostituiscono espressioni alternative, per esempio, interruzione di gravidanza per esprimere l'aborto, l'eutanasia per significare un mal morire, la pillola del giorno dopo per esprimere un abortivo" (2). Spesso la Chiesa è presentata come ostacolo alla libertà, sfiduciata e intollerante. Le seguenti affermazioni di Hegel diventano assai opportune: "Ma che l'uomo fosse libero in sé e per sé, per virtù della propria sostanza, che fosse nato libero come uomo, questo non seppero né Platone, né Aristotele, né Cicerone, né i giuristi romani, benché solamente in questo concetto stia la sorgente del diritto.

Soltanto nel principio cristiano lo spirito individuale personale assume essenzialmente valore infinito, assoluto; Dio vuole che si porti aiuto a tutti gli uomini. Nella religione cristiana si fece strada la dottrina secondo cui tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio, perché Cristo li ha chiamati alla libertà cristiana". E aggiunge: "Queste affermazioni fecero sì che la libertà diventasse indipendente dalla nascita, dalla condizione sociale, dall'educazione, ecc. [...]. Il sentimento di tale principio fermentò per secoli, per millenni, producendo i più giganteschi rivolgimenti" (3).

Ci sono alcuni termini, presenti dappertutto, che sono fonte di speciali difficoltà. È il caso del concetto di "discriminazione". L'equivocità è particolarmente pericolosa. Inizialmente suscita una reazione di simpatia: come non essere contro le discriminazioni? Questo sembra essere un effetto del rispetto dei diritti umani. Ma la prima e spontanea reazione favorevole cambia quando i contenuti concreti sono meglio esaminati. In nome della non-discriminazione nei Parlamenti vengono diffusi i progetti delle unioni di fatto, anche delle unioni omosessuali e lesbiche, e persino con la possibilità di adozione.

Un caso recente che meglio può illustrare il problema (e che è considerato concretamente) è quello del CEDAW. Tale sigla significa Convenzione sull'eliminazione delle discriminazioni contro le donne. C'è una evidente ostilità contro la famiglia, la quale rappresenterebbe un luogo di moderna schiavitù. Per cui, essere sposa e madre equivarrebbe a essere discriminata da coloro che sostengono i principi morali, ancorati ai veri diritti umani. E se direttamente non è invocato il "diritto" all'aborto, in forma subdola questa via non si esclude. Discretamente, senza fare chiasso, la possibilità sarà ripresa in altre forme, sia con l'interpretazione dei contenuti assai equivoci nella "salute riproduttiva", sia con il ricorso a strumenti abortivi, sia con l'introduzione di una nuova definizione dell'aborto, limitato al tempo posteriore e non dal concepimento all'annidamento dell'embrione. Ci troviamo di fronte a una bufera concettuale.

In alcuni casi le equivocità sono in realtà grossolane e più ampie. In nome dei diritti delle donne non soltanto l'aborto è stato presentato quale loro diritto, come se l'embrione fosse proprietà della madre e costituisse un'appendice, ma si è giunti a combattere la gravidanza come se si trattasse di una specie di malattia e il "nascituro" fosse un ingiusto aggressore. Si è arrivati così a parlare, per qualche tempo, del "vaccino anti-baby". Siamo nel pieno occhio del ciclone originato dal secolarismo e dal relativismo etico. Riguardo alla equivocità e alla verità nel linguaggio è ben noto il pensiero di Heidegger. L'equivocità non aiuta l'autenticità (4).

Il Santo Padre ha denunciato una "civiltà malata" da diversi punti di vista, poiché "la nostra società s'è distaccata dalla piena verità sull'uomo, dalla verità su ciò che l'uomo e la donna sono come persone" (5). Egli fa poi riferimento alla falsificazione prodotta da certi moderni strumenti di comunicazione sociale "soggetti alla tentazione di manipolare il messaggio, rendendo falsa la verità sull'uomo" (6). È in corso una pressione sistematica sull'opinione pubblica: "A volte sembra proprio che si cerchi in ogni modo di presentare come "regolari" e attraenti, conferendo loro esterne apparenze di fascino, situazioni che di fatto sono "irregolari"" (7).

Un caso tipico è il riferimento all'"amore libero". Si usano espressioni che danno la sensazione di un universo di libertà, quando, in realtà, in luogo della libertà regna una vera e propria schiavitù. Giovanni Paolo II, senza giri di parole, così si esprime: "Certamente contrario alla civiltà dell'amore è il cosiddetto "libero amore" [...]. Seguire in ogni caso il "vero" impulso affettivo in nome di un amore "libero" da condizionamenti significa, in realtà, rendere l'uomo schiavo di quegli istinti umani che san Tommaso chiama "passioni dell'anima". Il "libero amore" sfrutta le debolezze umane fornendo loro una certa "cornice" di nobiltà con l'aiuto della seduzione e col favore dell'opinione pubblica. Si cerca così di "tranquillizzare" la coscienza, creando un "alibi morale" [...]. Una libertà senza responsabilità, costituisce l'antitesi dell'amore". Il Santo Padre ha denunciato anche alcune espressioni entrate diffusamente in circolazione come "pro choice", che si camuffa ugualmente con il libero esercizio della libertà: "Nel contesto della civiltà del godimento, la donna può diventare per l'uomo un oggetto, i figli un ostacolo per i genitori, la famiglia un'istituzione ingombrante per la libertà dei membri che la compongono. Per convincersene, basta esaminare certi programmi di educazione sessuale, introdotti nelle scuole, spesso nonostante il parere contrario e le stesse proteste di molti genitori; oppure le tendenze abortiste, che cercano invano di nascondersi dietro il cosiddetto "diritto di scelta" ("pro choice") da parte di ambedue i coniugi, e particolarmente da parte della donna. Sono soltanto due esempi tra i molti che si potrebbero ricordare" (9).

Negli Stati Uniti c'è una lotta semantica: per reagire al "pro choice" i difensori della vita dicono che il migliore "pro choice" è il "pro life".

Nell'Evangelium vitae il Papa, con vigore profetico, ha denunciato tutta la malizia sistematica che c'è nel convertire addirittura il "delitto" in "diritto": "La nostra attenzione intende concentrarsi, in particolare, su un altro genere di attentati, concernenti la vita nascente e terminale, che presentano caratteri nuovi rispetto al passato e sollevano problemi di singolare gravità per il fatto che tendono a perdere, nella coscienza collettiva, il carattere di "delitto" e ad assumere paradossalmente quello del "diritto", al punto che se ne pretende un vero e proprio riconoscimento legale da parte dello Stato e la successiva esecuzione mediante l'intervento gratuito degli stessi operatori sanitari. Tali attentati colpiscono la vita umana in situazioni di massima precarietà, quando è priva di ogni capacità di difesa. Ancora più grave è il fatto che essi, in larga parte, sono consumati proprio all'interno e ad opera di quella famiglia che costitutivamente è invece chiamata a essere "santuario della vita"" (10).

Di recente il Papa ha espresso la sua preoccupazione in occasione di un discorso rivolto a un gruppo di Vescovi del Brasile: "Una proposta pastorale per la famiglia in crisi presuppone, come esigenza preliminare, una chiarezza dottrinale, effettivamente insegnata nel campo della teologia morale, sulla sessualità e sulla valorizzazione della vita [...]. Alla base della crisi della famiglia si percepisce la rottura fra l'antropologia e l'etica, caratterizzata da un relativismo morale secondo il quale si valorizza l'atto umano, non in riferimento a principi permanenti e oggettivi, propri della natura creata da Dio, ma conformemente a una riflessione meramente soggettiva su ciò che è più conveniente al progetto personale di vita. Si produce pertanto un'evoluzione semantica in cui l'omicidio si chiama morte indotta, l'infanticidio aborto terapeutico e l'adulterio diviene una semplice avventura extramatrimoniale. Non avendo più una certezza assoluta nelle questioni morali, la legge divina diviene una proposta facoltativa nell'offerta variegata delle opinioni più in voga" (11).

Curiosamente, tante espressioni equivoche hanno la loro origine nell'idea che i cambiamenti siano esigenze della modernità, che è un termine anch'esso da chiarire. Ecco la descrizione che Thomas Mann offre della "modernità": "Uno dei caratteri del nostro tempo è la problematizzazione di ogni cosa, anche di quelle eterne, sacrosante, indispensabili e primordiali, divenute apparentemente impossibili, apparentemente scadute, oggigiorno, in modo irreversibile. [...] La libertà, l'individualismo, un rafforzato senso della personalità [...] l'idea del "diritto alla felicità", facilitano allo scontento, al desiderio di liberazione" (12).

Da alcuni anni, il Pontificio Consiglio per la famiglia è andato osservando la scalata di quel processo che genera confusione. Già in Francia era noto il ricorso all'espressione "interruption de la grossesse", per non impiegare il termine "aborto". Alcuni anni fa, durante la celebrazione dell'Anno internazionale della famiglia, ebbe inizio il gioco delle interpretazioni con la messa in circolazione, dall'istanza coordinatrice delle Nazioni Unite, dell'uso del termine "famiglie" soltanto al plurale, e con riluttanza all'impiego di "famiglia" al singolare, al fine di porre dolorosamente un veto al modello di famiglia voluto da Dio nel suo progetto della Creazione: la famiglia fondata sul matrimonio, patrimonio dell'umanità. Così, sotto il termine "famiglie", potevano essere salvaguardate tutte le forme di unione, come famiglie "club", alle quali faceva riferimento Louis Roussel nel suo libro La famille incertaine (13), dove si negava l'istituzione naturale della famiglia e la si riduceva a semplici accordi o patti mutevoli in una prospettiva di "privatizzazione". Egli fu attivo ideologo dell'Anno internazionale della famiglia. In tale occasione, come si ricorderà, venne adottato il logo che riproduceva un tetto sotto il quale si univano due cuori, con una freccia lanciata verso l'infinito. In tal modo si indicava il futuro incerto della famiglia, la sua scomparsa nel futuro, che è stata spesso annunciata, sebbene non abbia maggiore fondamento nella realtà e nelle previsioni. Le stesse ideologie contro la famiglia hanno dovuto riconoscere questo fatto.

Fu proprio intorno all'Anno internazionale della famiglia che si mostrò più decisivo l'intento di mettere in moto slogan ed espressioni ambigue per servirsi dei molti mal informati e, frequentemente, anche mal formati, almeno nel campo di un umanesimo integrale, come quello indicato dal Papa Paolo VI nell'enciclica Populorum progressio sulla dottrina sociale e, particolarmente, in un'antropologia di consistenza etica: "È un umanesimo plenario che occorre promuovere. Che vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini? Un umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito e a Dio che ne è la fonte, potrebbe apparentemente avere maggiori possibilità di trionfare. Senza dubbio l'uomo può organizzare la terra senza Dio, ma "senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l'uomo. L'umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano". Non v'è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento d'una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana. Lungi dall'essere la norma ultima dei valori, l'uomo non realizza se stesso che trascendendosi, secondo l'espressione così giusta di Pascal: "L'uomo supera infinitamente l'uomo"" (14).

Nella Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo, svoltasi al Cairo nel 1994, si doveva sfruttare tutto un concentrato carico ideologico, dinamico e funzionalmente organizzato, nel quale, oltre che attivare meccanismi che si sarebbero dimostrati miti inconsistenti, come quello della "rivoluzione o dell'esplosione demografica", volti a suscitare l'allarme della sovrappopolazione, si ricorreva a espressioni come "sexual rights", "reproductive rights" (come in precedenza era stato fatto con "family planning", per incoraggiare la contraccezione e rifiutare come inutili i metodi naturali).

In tali espressioni, in realtà si cercava di sottrarre gli adolescenti e i giovani alla famiglia, all'educazione e all'autorità dei genitori, riempiendoli di informazioni riguardanti le "libere" scelte per evitare la gravidanza, le malattie a trasmissione sessuale, diffondendo, senza altre "pressioni", ogni tipo di contraccettivo. Naturalmente nella Conferenza del Cairo non si escludeva come un diritto il ricorso all'aborto. Fu necessario il messaggio che il Santo Padre indirizzò ai capi di Stato e alla signora Nafis Sadik per richiamare l'attenzione sullo "stile di vita" che si voleva imporre ai giovani e sulla responsabilità dei governanti al riguardo (15). Un caso interessante fu successivamente la preparazione e lo svolgimento della Conferenza di Pechino sulla donna, per ciò che concerne il termine "gender". Il Pontificio Consiglio per la famiglia mise in evidenza l'uso ambiguo e ideologizzato che si stava introducendo, nonostante si assicurasse alla delegazione della Santa Sede la volontà di ricorrere all'uso "tradizionale" del termine. Non dovette trascorrere molto tempo prima di rilevare quanto la questione implicava e come fosse necessario chiarire le cose. La famiglia e la vita sono come poli inseparabili di una stessa realtà, di una stessa verità che è una buona novella, un vangelo: "Spetta altresì ai cristiani il compito di annunciare con gioia e convinzione la "buona novella" sulla famiglia, la quale ha un assoluto bisogno di ascoltare sempre di nuovo e di comprendere sempre più a fondo le parole autentiche che le rivelano la sua identità, le sue risorse interiori, l'importanza della sua missione nella Città degli uomini e in quella di Dio" (16). La famiglia e la vita sono letteralmente sotto il bombardamento di un linguaggio ingannevole, che non favorisce, ma offusca il dialogo tra gli uomini e i popoli. Senza la ricerca della verità, l'universo della libertà è contaminato e posto in grave pericolo. Non esiste libertà senza la verità.

Tutto ciò che ho riferito è stato il contesto che ha fatto sorgere in me l'idea di realizzare un servizio impegnativo di paziente chiarimento. Il momento in cui venne decisa l'elaborazione di questo Lexicon fu in occasione di un incontro con le Organizzazioni non governative (ONG) a Roma, dal 26 al 27 novembre 1999, durante il quale affiorò drammaticamente la preoccupazione e l'opportunità di informare i partecipanti nelle diverse conferenze e riunioni delle Nazioni Unite, come pure i Parlamenti, i Movimenti apostolici ecc. riguardo ai termini e alle espressioni ambigue, per evitare che essi rimanessero sorpresi e disorientati nella loro buona volontà. Dall'incontro con le ONG fu tratta una prima lista di espressioni ambigue più generalizzate e correnti, che poi, in occasione di riunioni successive, venne ampliata. Inizialmente sembrò sufficiente precisare il contenuto di alcune di queste espressioni, ma in seguito si vide che occorreva compiere uno sforzo maggiore e che era necessario ricorrere alla collaborazione di esperti. L'accoglienza del progetto fu generosa e quindi stimolante. Siamo così giunti a raccogliere 78 espressioni che sono state elaborate, nella maggior parte, da persone di riconosciuta competenza e prestigio, cosa che risulta evidente già a un primo sguardo, e da altri esperti, forse meno noti, ma con una buona conoscenza del tema loro affidato.

Quando, in occasione del concistoro straordinario svoltosi nel mese di maggio del 2001, ebbi modo di informare i cardinali presenti riguardo al progetto di Lexicon, l'accoglienza fu molto calorosa, e anche dopo da parte dei giornalisti. Poiché abbiamo ricevuto proposte di case editrici di differenti lingue e nazioni, la nostra intenzione è quella di offrire il volume in diversi idiomi.

Abbiamo stabilito di iniziare con la versione italiana, affidandola alle Edizioni Dehoniane di Bologna, con le quali abbiamo avuto la positiva esperienza della buona diffusione del nostro Enchiridion, che è giunto rapidamente alla sua seconda edizione.

È stata di grande soddisfazione l'approvazione della Congregazione per la dottrina della fede, che ha appoggiato pienamente i nostri propositi. Il presente testo, curato da competenti professionisti, raccoglie i contributi ricevuti in un unico volume, realizzato secondo criteri tecnici e lessicografici, quali l'ordine alfabetico dei termini, una sintetica introduzione al contenuto di ciascun articolo (opportunamente differenziato dal corpo di quest'ultimo mediante un differente carattere tipografico) e un breve profilo biografico di ognuno dei redattori.

Speriamo che questo Lexicon possa rappresentare uno strumento utile per la nobile e urgente causa della famiglia e della vita. Siamo consapevoli che il campo delle equivocità è grande e forse una prossima edizione potrebbe essere arricchita con nuove voci. In questo sforzo di chiarire le ambiguità attraverso una ricerca approfondita della verità, guidati dalla ragione e illuminati dalla fede, in totale obbedienza al magistero, il lettore troverà, come speriamo, i contenuti genuini e gli obiettivi che fanno parte della proclamazione del vangelo "sine glossa".

Festa dell'Immacolata Concezione, 8 dicembre 2002


ALFONSO Card. LÓPEZ TRUJILLO


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1) Messaggio di Sua Santità Giovanni Paolo II per la celebrazione della Giornata mondiale della pace, 1 gennaio 1999.

2) Cfr su questo aspetto A. Lobato, Homo loquens, Uomo e linguaggio, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1989.

3) G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, vol. 1, La Nuova Italia, Firenze 1998, 61.

4) Per Heidegger, nel suo linguaggio complicato e nel suo interessante pensiero, l'uomo è "pastore dell'essere"; la verità non è la conformità del giudizio con l'essere, ma un modo di rivelarsi della realtà (è la a-lethe-ia) che non si occulta e che ha nel linguaggio "la mansione dell'essere". La verità è uno svelarsi. Attentano contro l'autenticità di questo svelarsi la chiacchiera, la curiosità e l'equivoco (cfr M. Heidegger, Tempo ed essere, Fratelli Bocca Editori, Milano-Roma 1953, 174-179).

5) Lettera alle famiglie Gratissimam sane, 20.

6) Gratissimam sane, 20.

7) Gratissimam sane, 5.

8) Gratissimam sane, 14.

9) Gratissimam sane, 13.

10) Enciclica Evangelium vitae, 11.

11) "Allocuzione durante la visita ad limina dei Vescovi della Regione est II della Conferenza nazionale dei Vescovi del Brasile", in L'Osservatore Romano, 17 novembre 2002.

12) T. Mann, Lettera sul matrimonio.

13) Cfr L. Roussel, La famille incertaine, Éd. Odile Jacob, Paris 1989.

14) Enciclica Populorum progressio, 47.

15) Cfr Lettera del Papa Giovanni Paolo II ai capi di Stato, in L'Osservatore Romano, 15 aprile 1994, 1; cfr "Messaggio del Santo Padre alla sig.ra Nafis Sadik, Segretario generale della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo", in L'Osservatore Romano, 19 marzo 1994, 7.

16) Esortazione apostolica Familiaris consortio, 86.

Anonimo ha detto...

E INFINE DA
http://www.sgverona.it/dblog/articolo.asp?articolo=304
PER ORIENTARE IL SONDAGGIO SULLA SEN. BINETTI



A conclusione di un ciclo di incontri sulla Famiglia e l’impegno socio-politico organizzato dal collegio Mazza, sono state ospiti lunedì 16 Aprile l’On. Santolini (UDC)e la mitica ed inimitabile Senatrice Paola Binetti (Margherita). Per chi non avesse ancora avuto il piacere di conoscerla, sprecherò due parole per inquadrare il personaggio. Seduta tra i banchi del Senato della Repubblica, la Prof.ssa Binetti, membra del movimento Scienza e Vita (memento: vedasi i suoi interventi in merito al referendum del 2005), si e ci diletta di frequente con affermazioni divenute ormai un vero cult tra teodem, teocon, clericali e compagnia bella. Leggi : “L’omossessualità è una devianza della personalità”, “Essere gay è un comportamento molto diverso dalla norma iscritta in un codice morfologico, genetico, endocrinologico e caratteriorologico”, “L’Italia non ha bisogno né di eutanasia né di Pacs”. Bene, fatta la conoscenza con tale affabile personaggio, passo a farvi un breve resoconto del piacevole pomeriggio trascorso in sua compagnia. Perché di un gradevole ascolto si è trattato, e non di un dibattito (come invece era stato pubblicizzato), non avendo minimamente lasciato spazio al alcun tipo di contraddittorio a. per la presenza sul palco di un ospite solidale alla sua linea b. la precipitosa ritirata della Senatrice al termine della sua esposizione. L’aula T5 si era presentata inizialmente gremita di persone volontariamente interessate alla discussione ma dopo breve il pubblico ha evidentemente preferito fare ritorno alle sue occupazioni pomeridiane lasciando campo libero alla claque organizzata dai presenti tra le prime file. Paola Binetti ha infatti deliziato la platea con un grazioso ragionamento del quale è stato protagonista il suo tema preferito, la Famiglia. La Famiglia in Crisi, attaccata dalla “modernità liquida” che crea “legami deboli”, privi di solidità, incapaci di generare relazioni durevoli (non starà di certo parlando di quella bestia nera che sono le convivenze, nevvero?). Una Famiglia aggredita dal legislatore (o legislatrici? O ministre?della sua coalizione?), che non può e non deve sostituirsi ad essa nel ruolo educativo. Il soggetto Famiglia che necessita di interventi correttivi a suo favore (e chi si è mai detto contrario alle politiche familiari?). Famiglia che vive nella solidarietà (ovviamente se istituzionalizzata, altrimenti che aiuto reciproco può esserci tra gli individui che vivono illegalmente sotto lo stesso tetto?).

Anonimo ha detto...

In questo paese le leggi passano sopra la testa delle genti,ma chi ha il tempo di pensare scrivere tutte questa retorica,ma chi trova il tempo dopo una giornata di lavoro di traffico di coniugi di figli di legger tutte queste ridondanti stupidaggini?ma neanche chi le scrive se le ricorda, figuriamoci capirle e condividerle.

Amy ha detto...

Il problema c'è se trovi subito il grande amore ed il lavoro dei tuoi sogni: un po' di precariato, infatti - nel lavoro come in amore - aiuta a crescere.

Poi però abbiamo tutti bisogno di stabilità che non significa eternità ma solo di poter pensare di non esser alla mercé dei capricci di qualcun altro.

E' di dx, di sx? ditemelo voi!

maria ha detto...

Se anzichè leggere i pareri delle dei Cardinali e delle commissioni pontificie, avessi seguito i consigli del serpente che suggeriva l'interruzione di gravidanza, avrei fatto un gran regalo all'umanità.
Mi rendo conto, tardivamente, che l'unico mezzo per stare in pace con se stessi e con gli altri è la pratica dell'INTERRUZIONE: di coito, di gravidanza, di famiglia, di legami, di interessi, di politica, di lavoro, di responsabilità,di idiosincrasie.
Ed essere così proprio liberi e immacolati di vera libertà,senza teorie. In fede,Maria (con dogma della Verginità stabilito, appunto, nel Concilio di Trento: prima non era vergine)

Anonimo ha detto...

OK Maria, vedo che le Feste ti fan venire il buon umore. Speriamo almeno che il cammello sopra ti rallegri