Ieri sera, con un colpo di genio, Berlusconi si presenta, a sorpresa al Bagaglino. Rassicura i risparmiatori e poi racconta quest magnifica barzelletta "Allora, c'è un tizio che entra in un ristorante e vede una bella signora. Si volta, e fa all'amico: oh, io me la farei. E l'amico: scusa, ma quella sarebbe mia moglie... E l'altro: beh, pagando, s'intende...». Successo clamoroso. Altri 15 anni di potere assicurati. Egli conosce a fondo le donne e gli uomini, anche sposati, italiani.
Come contributo culturale un pezzo di Umberto Eco, anche se non ha preso il Nobel.
LA BUSTINA DI MINERVA da L'Espresso.it
Apparire più che essere
di Umberto Eco
Il manuale del candidato scritto per Cicerone da suo fratello Quinto Tullio mette in luce affinità, somiglianze e assonanze che fanno pensare a Silvio Berlusconi
Nel 64 avanti Cristo Marco Tullio Cicerone, già celebre oratore ma tuttavia 'uomo nuovo', estraneo alla nobiltà, decide di candidarsi alla carica consolare. Il fratello Quinto Tullio scrive per suo uso e consumo un manualetto, in cui gli dà consigli per bene riuscire nella sua impresa. A volgerlo in edizione italiana, con testo a fronte ('Manuale del candidato - Istruzioni per vincere le elezioni', editore Manni, 8 euro), è Luca Canali, corredandolo di un commento, in cui si chiariscono le circostanze storiche e personali di quella campagna. Furio Colombo scrive l'introduzione, con una sua polemica riflessione sulla 'prima Repubblica'.Infatti molto simile alla nostra seconda è questa Repubblica romana, nelle sue virtù (pochissime) e nei suoi difetti. L'esempio di Roma, nel corso di più di due millenni, ha sempre continuato ad avere molta influenza sulle successive visioni dello Stato. Come ricorda Colombo, al modello della più antica Repubblica romana si erano ispirati gli autori dei 'Federalist papers', che avevano delineato le linee fondamentali di quella che sarebbe poi stata la costituzione americana, e che vedevano in Roma, più che in Atene, l'esempio ancora attuale di una democrazia popolare. Con maggiore realismo i 'neo cons' intorno a Bush si ispirano all'immagine di Roma imperiale e, d'altra parte, molta della discussione politica attuale fa ricorso sia all'idea d'Impero che a quella di 'pax americana', con esplicito riferimento alla ideologia della 'pax romana'.Salvo che l'immagine di competizione elettorale che emerge dalle 20 paginette di Quinto è assai meno virtuosa di quella che aveva ispirato i federalisti del Settecento. Quinto non pensa affatto a un uomo politico che si rivolga al proprio elettorato con un progetto coraggioso, affrontando anche il dissenso, nella speranza di conquistare i propri elettori con la forza trascinatrice di un'utopia. Come nota anche Canali, è totalmente assente da queste pagine ogni dibattito di idee; anzi è sempre presente la raccomandazione a non compromettersi sui problemi politici, in modo da non crearsi nemici. Il candidato vagheggiato da Quinto deve soltanto 'apparire' affascinante, facendo favori, altri promettendone, non dicendo mai di no a nessuno, perché anche a lasciar pensare che qualche cosa si farà, la memoria degli elettori è corta, e più tardi si saranno dimenticati delle antiche promesse.La lettura di Colombo tende a mettere in luce "incredibili affinità, somiglianze, assonanze che sembrano attraversare i secoli". Quelli che nel testo sono i 'salutatores', che vanno a rendere omaggio a più candidati, sono visti come dei 'terzisti', i 'deductores', la cui presenza continua deve attestare l'autorevolezza del candidato, hanno la funzione di renderlo visibile e (mutatis mutandis) svolgono la funzione che svolge oggi la televisione. La campagna elettorale appare come uno spettacolo di pura forma, in cui non conta che cosa il candidato sia, ma come appaia agli altri. Come dice Quinto, il problema è che, per quanto le doti naturali abbiano un peso, il vero problema è ottenere che la simulazione possa vincere la natura. D'altra parte "la lusinga è detestabile quando rende qualcuno peggiore ma è indispensabile a un candidato il cui atteggiamento, il cui volto, il cui modo di esprimersi, devono di volta in volta mutare per adattarsi ai pensieri e ai desideri di chiunque egli incontri". Naturalmente bisogna fare in modo "che l'intera tua campagna elettorale sia solenne, brillante, splendida, e insieme popolare. Appena ti è possibile, fa pure in modo che contro i tuoi avversari sorga qualche sospetto di scelleratezza, di dissolutezza o di sperperi". Insomma, tutte belle raccomandazioni che sembrano essere state scritte oggi, e viene subito in mente per chi - ovvero il lettore - legge Quinto ma pensa a Silvio.Alla fine della lettura ci si chiede: ma la democrazia è davvero e soltanto questo, una forma di conquista del favore pubblico, che deve basarsi solo su una regia dell'apparenza e una strategia dell'inganno? È certamente anche questo, né potrebbe essere diversamente se questo sistema (che, come diceva Churchill, è imperfettissimo, salvo che tutti gli altri sono peggio) impone che si arrivi al potere solo attraverso il consenso, e non grazie alla forza e alla violenza. Ma non dimentichiamoci che questi consigli per una campagna elettorale tutta 'virtuale' sono dati nel momento in cui la democrazia romana è già in piena crisi. Di lì a poco Cesare prenderà definitivamente il potere con l'appoggio delle sue legioni, istituirà di fatto il principato, e Marco Tullio pagherà con la vita il passaggio da un regime fondato sul consenso a un regime fondato sul colpo di Stato. Però non si può evitare di pensare che la democrazia romana avesse iniziato a morire quando i suoi politici hanno capito che non occorreva prendere sul serio i programmi ma occorreva ingegnarsi soltanto di riuscire simpatici ai loro (come dire?) telespettatori.
Nel 64 avanti Cristo Marco Tullio Cicerone, già celebre oratore ma tuttavia 'uomo nuovo', estraneo alla nobiltà, decide di candidarsi alla carica consolare. Il fratello Quinto Tullio scrive per suo uso e consumo un manualetto, in cui gli dà consigli per bene riuscire nella sua impresa. A volgerlo in edizione italiana, con testo a fronte ('Manuale del candidato - Istruzioni per vincere le elezioni', editore Manni, 8 euro), è Luca Canali, corredandolo di un commento, in cui si chiariscono le circostanze storiche e personali di quella campagna. Furio Colombo scrive l'introduzione, con una sua polemica riflessione sulla 'prima Repubblica'.Infatti molto simile alla nostra seconda è questa Repubblica romana, nelle sue virtù (pochissime) e nei suoi difetti. L'esempio di Roma, nel corso di più di due millenni, ha sempre continuato ad avere molta influenza sulle successive visioni dello Stato. Come ricorda Colombo, al modello della più antica Repubblica romana si erano ispirati gli autori dei 'Federalist papers', che avevano delineato le linee fondamentali di quella che sarebbe poi stata la costituzione americana, e che vedevano in Roma, più che in Atene, l'esempio ancora attuale di una democrazia popolare. Con maggiore realismo i 'neo cons' intorno a Bush si ispirano all'immagine di Roma imperiale e, d'altra parte, molta della discussione politica attuale fa ricorso sia all'idea d'Impero che a quella di 'pax americana', con esplicito riferimento alla ideologia della 'pax romana'.Salvo che l'immagine di competizione elettorale che emerge dalle 20 paginette di Quinto è assai meno virtuosa di quella che aveva ispirato i federalisti del Settecento. Quinto non pensa affatto a un uomo politico che si rivolga al proprio elettorato con un progetto coraggioso, affrontando anche il dissenso, nella speranza di conquistare i propri elettori con la forza trascinatrice di un'utopia. Come nota anche Canali, è totalmente assente da queste pagine ogni dibattito di idee; anzi è sempre presente la raccomandazione a non compromettersi sui problemi politici, in modo da non crearsi nemici. Il candidato vagheggiato da Quinto deve soltanto 'apparire' affascinante, facendo favori, altri promettendone, non dicendo mai di no a nessuno, perché anche a lasciar pensare che qualche cosa si farà, la memoria degli elettori è corta, e più tardi si saranno dimenticati delle antiche promesse.La lettura di Colombo tende a mettere in luce "incredibili affinità, somiglianze, assonanze che sembrano attraversare i secoli". Quelli che nel testo sono i 'salutatores', che vanno a rendere omaggio a più candidati, sono visti come dei 'terzisti', i 'deductores', la cui presenza continua deve attestare l'autorevolezza del candidato, hanno la funzione di renderlo visibile e (mutatis mutandis) svolgono la funzione che svolge oggi la televisione. La campagna elettorale appare come uno spettacolo di pura forma, in cui non conta che cosa il candidato sia, ma come appaia agli altri. Come dice Quinto, il problema è che, per quanto le doti naturali abbiano un peso, il vero problema è ottenere che la simulazione possa vincere la natura. D'altra parte "la lusinga è detestabile quando rende qualcuno peggiore ma è indispensabile a un candidato il cui atteggiamento, il cui volto, il cui modo di esprimersi, devono di volta in volta mutare per adattarsi ai pensieri e ai desideri di chiunque egli incontri". Naturalmente bisogna fare in modo "che l'intera tua campagna elettorale sia solenne, brillante, splendida, e insieme popolare. Appena ti è possibile, fa pure in modo che contro i tuoi avversari sorga qualche sospetto di scelleratezza, di dissolutezza o di sperperi". Insomma, tutte belle raccomandazioni che sembrano essere state scritte oggi, e viene subito in mente per chi - ovvero il lettore - legge Quinto ma pensa a Silvio.Alla fine della lettura ci si chiede: ma la democrazia è davvero e soltanto questo, una forma di conquista del favore pubblico, che deve basarsi solo su una regia dell'apparenza e una strategia dell'inganno? È certamente anche questo, né potrebbe essere diversamente se questo sistema (che, come diceva Churchill, è imperfettissimo, salvo che tutti gli altri sono peggio) impone che si arrivi al potere solo attraverso il consenso, e non grazie alla forza e alla violenza. Ma non dimentichiamoci che questi consigli per una campagna elettorale tutta 'virtuale' sono dati nel momento in cui la democrazia romana è già in piena crisi. Di lì a poco Cesare prenderà definitivamente il potere con l'appoggio delle sue legioni, istituirà di fatto il principato, e Marco Tullio pagherà con la vita il passaggio da un regime fondato sul consenso a un regime fondato sul colpo di Stato. Però non si può evitare di pensare che la democrazia romana avesse iniziato a morire quando i suoi politici hanno capito che non occorreva prendere sul serio i programmi ma occorreva ingegnarsi soltanto di riuscire simpatici ai loro (come dire?) telespettatori.
5 commenti:
Quo usque tandem, Mario, abuteris patientia nostra?
quousque tandem abutere patientia nostra?
Sono andata a memoria...comunque abutere è forma contratta di abuteris.
Aggiungo che Marco Tullio, principe del forum, mi è sempre stato antipatico per la sua supponenza e pavidità.
Cionostante non faccio fatica a comprendere le affinità elettive con Silvio.
Io penso che siete tutti impazziti per colpa di facebook.
face tira
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