In questo estremo lombo d'Italia prospera il Friuli Venezia Giulia, la terra del cafè e delle cucine componibili, il centro storico-politico dell'Euroregione. Nella sua millenaria storia di martirio, non s'è riusciti a trovare neppure un unico patrono. Neanche il prof. C., autore delle migliaia di pagine di regolamenti del partito democratico, sa se nella Costituzione Friuli Venezia Giulia si scrive col trattino o senza. Il Friulano disprezza il Triestino, il Goriziano si sente estraneo e superiore, fiero della sua invitta nomenklatura di centro sinistra, il Pordenonese guarda ad est, solo il Carnico ristà fiero tra le sue montagne, duro come le rocce che han respinto sempre l'Invasore.
Seguono brevi cenni storici sulla Carnia, letti ed assimilati i quali non potremo che solennemente affermare:- Perchè non possiamo non dirci Carnici. Mandi.
Carnia
Cenni storici
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La storia della Carnia è una storia antica e numerose sono le tracce che ha lasciato sul territorio a partire dai ritrovamenti archeologici della Preistoria fino alle preziose testimonianze della cultura pre-industriale. E la Carnia ha saputo valorizzare e rendere fruibile questo enorme patrimonio storico-artistico, attraverso i suoi musei e attraverso percorsi turistici appositamente costruiti.
I primi dati storici ci fanno risalire all’età della pietra ed è molto probabile che le cinque valli della Carnia fossero attraversate da commercianti etruschi diretti verso il Nord Europa. Durante l’età del ferro la Carnia era abitata da tribù celtiche, i Carni, dai quali prese il nome. Con l’espansione nell’Italia settentrionale, Roma venne a contatto con i Carni, che gradatamente si fusero con gli occupanti, assimilandone la lingua, la religione e i costumi. Iulium Carnicum (l’attuale Zuglio) non fu solo colonia militare a presidio della via del Norico, ma sede del più antico vescovado che si ricordi in Friuli (490). Di queste prime fasi storiche è rimasta ampia documentazione a Zuglio. Presso il Museo Archeologico sono conservati, infatti, reperti archeologici provenienti da tutta la Carnia e, accanto al Museo, i resti del Foro testimoniano l’importante passaggio della cultura romana. Al dominio di Roma si sostituì quello del ducato longobardo del Friuli, che determinò il trasferimento della sede vescovile da Zuglio a Cividale, sede del ducato. Si giunse così alla costituzione del Patriarcato di Aquileia (1077), nato come stato autonomo nell’ambito del Sacro Romano Impero, ma che, dalla fine del XIII secolo, subì l’influenza veneziana. Dell’epoca medievale ci sono rimaste le pievi, luoghi non solo religiosi ma veri e propri centri di riferimento della vita comunitaria. In Carnia se ne contano diverse, sparse sul territorio, quasi tutte ubicate in una posizione strategica da dove potevano avvistare eventuali nemici e avvisare in tempo la popolazione in caso di pericolo. Sia le pievi, sia le chiese, sorte in epoca successiva, conservano preziose opere artistiche al loro interno.
Se un elemento caratterizzante del periodo medievale fu l’importanza della Chiesa nel tessuto sociale, politico ed economico, l’altro elemento fu la strenua lotta tra diversi gruppi, per la conquista del potere. Nei primi due decenni del secolo XV, il Friuli assistette allo scontro di due fazioni: una capeggiata dalle comunità di Tolmezzo, Gemona e Venzone, a sostegno di Gregorio XII, l’altra guidata da Tristano Savorgnano, a favore del Patriarca; questa disputa terminò con l’entrata in Friuli di re Sigismondo d’Ungheria. Contro l’invasore si schierò la Repubblica di Venezia che prese possesso del Friuli e della Carnia: è il 16 Aprile 1421. La Carnia fu solo lambita dal pericolo turco e nell’Arengo del 1 gennaio 1477 si stabilì di costruire la torre Picotta superiore come vedetta contro i Turchi. La Carnia, dal punto di vista amministrativo, era divisa in tre organismi: il primo rappresentato dalla comunità di Tolmezzo con le sue ville; il secondo dai quattro quartieri: di S.Pietro, di Gorto, di Tolmezzo e di Socchieve; il terzo era costituito dai gismani, feudatari che rappresentavano le famiglie localizzate in 23 castelli. Non facevano parte della Carnia Forni di Sotto e di Sopra che del 1361 appartenevano alla signoria dei Savorgnani. Il 1692 fu un anno funesto per tutta la Carnia, per le terribili inondazioni che distrussero strade, chiese, edifici e cancellarono intere borgate. Un notevole contributo al miglioramento del benessere economico e sociale di Tolmezzo e di buona parte della Carnia fu dato da Jacopo Linussio di Paularo (1691-1747); con le due fabbriche tessili di Moggio e Tolmezzo raggiunse, verso il 1745, la produzione annua di ben ventunmila pezze, che venivano esportate nei principali mercati europei. Risale al periodo veneziano la costruzione di palazzi nobili dalla tipica struttura veneta. Accanto a questi preziosi palazzi, in Carnia, si sviluppa un’architettura spontanea, strettamente legata alle esigenze popolari e fortemente vincolata dal territorio e dal clima rigido. Tracce di questa architettura si possono ancora ritrovare nelle case di alcuni borghi che nel corso dei secoli hanno mantenuto l’antico stile.
Con il trattato di Campoformido, ratificato il 17 ottobre 1797, la Carnia passò a far parte dell’Impero Asburgico e vi rimase sino al 1805, quando, dopo Austerlitz, Napoleone si riprese il Veneto e lo incluse nel Regno d’Italia. Con la caduta di Napoleone nel 1814 e la creazione del Regno Lombardo-Veneto, la Carnia venne incorporata in questo nuovo stato, per poi passare al Regno d’Italia nel 1866.
Allo scoppio della I Guerra Mondiale, il 24 maggio 1915, l’alto comando italiano affidò tutto il settore, chiamato Zona Carnia, a un corpo d’armata autonomo (XII). Il 1 ottobre 1917, a seguito della rotta di Caporetto, le nostre truppe, come pure i civili, dovettero ripiegare parte verso il Cadore e parte verso la valle dell’Arzino. Tale sacrificio verrà premiato un anno dopo con il ritorno della terra di Carnia alla Patria. Il resto è storia recente che tutti noi conosciamo, e cioè: il secondo conflitto mondiale, la divisione della nostra penisola in territorio libero e occupato, la Resistenza, l’invasione cosacca e finalmente la liberazione.
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4 commenti:
ciao redattore non ho trovato cosa sono i triestini rispetto ai goriziani ai carnici ecc.se permetti aggiungo io;i triestini son dei meloni vecchi presuntuosi decaduti creduloni illusi di contare di fare, gran chiacchieroni che parlano sempre di fasti passati,di quando ancora non erano nati.se non entra sangue nuovo (serbi croati furlani ecc.)questa citta si spegnerà.perchè trieste l'hanno fatta grande i tripcovich i cosulich i greghi gli ungheresi,illy ,ci son più Furlan a trieste che in tutto il friuli.ciao redattore.
Come forse non sai, sono di focose origini romagnole, mi sono dispersa senza
fissa dimora approdando, ormai da molti anni a Trieste, città che vivo come
una trappola per topi satolli e supponenti.
Il provincialismo e la banalità di risorse di Udine, alla lunga mi hanno
portato alla disperazione.
Sono stata bene invece in Carnia, dove ho insegnato per vari anni alle
scuole medie, ho dovuto acquisire il friulano (anche se non veicolare, nè
mari lenghe...ben prima delle odierne e stupidamente campanilistiche
esternazioni di Cecotti e Strassoldo) perchè i ragazzini e il bidello di
Trasaghis-Venzone solo quello parlavano...non usavo l'auto che sarebbe stato
uno schiaffo alla povertà...ma ogni mattina, arrivando col treno, trovavo
gli zoccoli caldi sotto la stufa e un ottimo bicchierino di graspe.
I ragazzini mi portavano in regalo: pipistrelli vivi in una scatolina,
ranocchie vispe che venivano lasciate liberamente saltare in classe, grilli
e quant'altro...per cui, pur essendo laureata in archeologia, ho imparato le
scienze naturali e ad evitare i grandi centri commerciali con il nuovo che
avanza.
Sono contenta d'aver lavorato bene e la conferma l'ho avuta anni dopo,
quando ormai insegnavo a Udine all'Istituto d'arte, perchè molti miei ex
allievi carnici sono venuti a studiare lì: e sono stati sempre i migliori.
I più determinati, quelli disposti a farsi un culo così, e sempre su e giù
con la corriera, sempre con i libri in mano.
Non ho formato dei Bocconiani...ma sentirsi dire da un agricoltore, da un
geometra o da un artigiano
carnico:"professoressa, non ho mai smesso di leggere Shakespeare, anche se
faccio un altro lavoro. Lei mi ha insegnato a leggere e a farmi delle
domande"
ciao maria posso capire il tuo trasporto per questi carnici e anche condividerlo perchè oltre che legger e capir shakespeare son dei gran lavoratori,vengono di mattina con i loro furgoni a trieste quando i triestini(tutti aspiranti impiegati statali)ancora dormono mentre la mammina gli prepara il caffè.
Ahimè, se avessi avuto questi carnici nel mio esercito, Garibaldi non avrebbe potuto montare più a cavallo per molti anni.
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